La via verso la felicità: dicembre - ter



Dopo 14 giorni di silenzio arrivarono i cioccolatini. Furono buttati dal fattorino sul tavolo della cucina e rimasero lì, mentre io fingevo di non vederli. Non per niente, ma volevo impormi di non pensare. DIsciplina, la chiamano, disciplina. Quindi li ho presi e messi nella madia della cucina.


Ma io so quanto buoni sono, quei cioccolatini che scendono dalla Svizzera. Che l'anno scorso Semprequello aveva aperto lo sportellone della macchina e io ero così disfatta quel giorno che ancora me lo ricordo, che uscivo da una litigata infruttuosa con il Talebano, avevo il ghiaccio nelle ossa, che lui non capiva e io avevo capito che mai avrebbe capito, mai più, e mi sentivo come vuota dentro, un involucro vuoto che si muove a mala pena perché le giunture sono ghiacciate.


Semprequello mi aveva chiamato per andare a pranzo fuori e appena prima di entrare al ristorante, aveva aperto il portabagagli e dentro lì aveva uno scatolone pieno di cioccolatini da donare ai clienti, un'abbondanza che mi aveva fatto bene al cuore, dal momento che vivevo in ristrettezze affettive almeno da due anni. Aveva preso due scatole e una l'aveva data a me, mentre l'altra l'avevamo aperta in macchina. Già li conoscevo quei cioccolatini, che sono famosi in tutto il mondo e li avevo già mangiati, ma ricordo come era bello scartarli e farli scrocchiare in bocca, e mi ero riempita le tasche del giaccone con tanti anche di quelli che erano nella scatola aperta in macchina: avevo riempito le tasche di cioccolatini come fossi stato un ladro. Ma d'altraparte, erano mesi che prendevo tutto quello che potevo prendere da quell'uomo, e i cioccolatini erano una sua estensione, e io avevo fame. Ricordo che in macchina lui guidava, mentre io razziavo la scatola e lui taceva, che cosa pensasse in quel momento non so, ma il mio tempo si era dilatato e la mia percezione pure, e così potrei scrivervi un racconto lungo su quei momenti. Quanto sono lontana ora da allora, quanta strada ho fatto io grazie anche a Semprequello: ma nello stesso tempo quante volte sono stata zitta, incapace di parlare con lui. Perché? Pudore? Paura? Incapacità? Presunzione? Il gesto di aprire il bagagliaio della macchina assomigliò molto per me a quello di un pirata che apre il baule del tesoro: lo so, pare sciocco, ma quante cose sciocche mi danno la felicità, voi non potete sapere (o forse sì, che siete uguali a me, e un sms sciocco vale più di tante parole a volte, o una parola serve per darvi la vita ancora per molto tempo, e uno scatolone di cioccolatini serve per dimostrarvi che al mondo esiste l'abbondanza e che voi ne farete parte).


Così erano arrivati i cioccolatini, memoria improvvisa di un anno prima. Nella mia testa i 14 giorni di silenzio, che nemmeno quando ho smesso di fumare li ho contati con tanta sapienza: che sebbene non li segni sul calendario, comunque il mio pensiero registra i giorni che passano, densi di cose da fare, eppure passano, senza che il cellulare squilli mai più con il suo numero, senza mail, senza niente di niente. Che tanto Semprequello non amava lasciar tracce di sè. Che vita difficile anche la sua: vivere sempre senza lasciar tracce, con il pensiero sempre volto alla difesa, chiuso nella roccaforte di un castello pulito ma silenzioso, riempito di cose scelte e conservate con cura, attento a prevenire le mosse altrui, costantemente in difesa delle proprie posizioni: - ti assicuro che... diceva spesso, come se io avessi bisogno di essere rassicurata sulla fatica di vivere, di guadagnare, di costruire, di investire, di migliorare, lui come me sempre sempre tirato giù, sta giù! una vita spesa a cercare di tenere il capo abbassato perché così sembrava giusto fare. Che dolore. Sono io, io sono come lui, con il capo abbassato e alzarlo è stato un dolore. Vuoi che io non capisca? capisco, capisco. Soprattutto le cose non dette. Che una mattina di primavera mentre dipingevo casa mi ha chiamato e io sono scesa giù, scapicollandomi per le scale sporca di pittura bianca dappertutto, una pinza nei capelli, uno straccio di coscienza che mi diceva: vai , vai!!! e gli ho detto: ti porto al parco. Siamo entrati con la macchina nel parco che c'era il parcheggio libero proprio lì dentro, lui aveva poco tempo e una gran angoscia silenziosa nel petto e io che l'avevo riconosciuta ho detto:

- dai, andiamo che ti faccio vedere le violette, sono lì, e dieci metri da qui.

Siamo scesi dalla macchina, con io che saltellavo come fossi stata una capretta, le gambe vive di energia pulita, il sole che brillava nel cielo terso, lui che era venuto a cercarmi, il suo cellulare che vibrava e lui che non rispondeva, il suo alone di angoscia che gli galleggiava intorno, e io gli ho mostrato il campo delle viole, dove poche ore prima ero stata e avevo raccolto per lui un mazzetto di violette di primavera, le avevo legate con un filo di erba e gliele avevo date (e mi ero pure vergognata che il mazzetto di violette aveva riposato un po' nel bicchiere della mia cucina, ma non ero stata attenta e non avevano preso l'acqua e si erano un po' avvizzite, che io sempre faccio le cose un po' così, senza una vera attenzione, che sia questo il mio problema, che non do attenzione alle cose che veramente devono essere prese in considerazione?) Ci eravamo così allontanati dalla macchina di circa dieci metri, forse quindici, ma poi eravamo ritornati che lui doveva andare a prendere qualcuno e ricordo lo sgomento suo nel constatare che aveva lasciato la macchina aperta, non sigillata con l'allarme e le portiere che alzano i finestrini da sole, e gli manca solo la torretta di guardia a quella macchina, che è un fortino pure lei. E io che dapprima ho riso alla sua reazione poi non più, che lo sgomento era reale, e come si fa a vivere così, mi sono chiesta poi, che nemmeno dieci metri puoi fare senza temere che la tua vita e i tuoi beni siano in pericolo? Dove è il due in questo caso? Che è successo a questa metà di uomo?


Ma io leggo sempre le cose che non sono dette e questo chiaramente è un errore. Non c'era angoscia, non c'era sgomento, c'era solo fretta, il pensiero di dover andare di corsa a prendere una persona, la preoccupazione di dover rispondere al cellulare che squillava, non c'era altro che questo, e una leggera aria di primavera che solleticava lo spirito. Devo smetterla di vedere le cose che non ci sono.


Così quella mattina ho preso la scatola di cioccolatini, l'ho ficcata in un sacchetto e l'ho portata con me. Era il secondo giorno del mio ufficio nuovo nel mio Lavoro Benedetto, dove il Maschio Alfa aveva accelerato i tempi per consentirmi di fare le cose per le quali mi aveva dato l'incarico. Sono entrata di corsa anche quella mattina, che arrivo cantando perché fuori c'è il sole, la pedalata mi ha fatto bene, la musica mi ha tonificato il cervello e io ho la scatola di cioccolatini sul tavolo di cristallo ovale. La apro dell'involucro trasparente e ne apro il coperchio. La fitta arriva, ma è velocissima, che in ufficio non ho tempo non ho spazio per sentire il ronzio che fa Semprequello e tutt'al più rimurgino sui sogni che faccio, che sono importanti, con lui, senza di lui, con lui come sottofondo, spero sia il mio subconscio che lavora e che prima o poi mi passerà. Perché così funziona: prima o poi passa. Forse è solo questione di allenamento.


Finché non entra il Maschio Alfa, con il suo passo sicuro, l'energia che sprizza da tutti i pori, il suo essere allegro e disinvolto, e sì, vede la trappola che io ho messo davanti alla porta e allunga lo sguardo sulla scatola, io fingo di non accorgermi, Dio mio come sono tutti uguali gli uomini, ne alza distrattamente il coperchio, sì, penso io, sì è la mia trappola, ti prego ti prego sì, e lui finalmente dice:

- mmmm cosa sono?

- (Sììììììì) Cioccolatini, speciali.

- uhhh, posso?

- ma certo, sono qui a posta.

e ficca la mano generosa nella scatola, ne prende uno, lo scarta, e lo mette in bocca, e mastica e io mi sento meglio, gli piacciono da morire, mangia, penso io, ti prego mangiali tutti, erano per me, li aveva dati al corriere perché li mangiassi io, io non posso, lui non vuole me io non posso volere lui, ti prego, mangiali tutti...


La via verso la felicità passa a volte anche attraverso queste piccole vendette. Vittorie di Pirro, ma che servono per far passare un'altra giornata, dare al tempo il tempo di trascorrere e fare il suo dovere. Ne sono rimasti due. Un numero dannato che mi perseguita. Io ne ho mangiati un paio. Che avevo fame, non avevo tempo di andare giù, e non sono certo il tipo che non mangia per una questione di principio, accidenti, e un paio me li sono mangiati, che sono così buoni che si sciolgono in bocca e mi hanno sciolto anche il cuore. Per fortuna che sono piccoli, si mangiano in fretta, il lavoro da fare in ufficio è tanto e io non ne voglio più sapere di niente.


Che fatica.

Commenti

Post più popolari