io e il Santo




Ci fu un tempo lontanissimo, in cui mi aggiravo per la città senza nemmeno sapere se ero viva. Ricordo in particolare che era primavera, fumavo un pacchetto di sigarette al giorno, o quasi, facevo in fretta le versioni di greco o di latino, leggevo sommariamente filosofia e poi uscivo. Non mangiavo: quando mangiavo spesso vomitavo. Ma in genere non mangiavo. Portavo in giro i miei 43/45 chili con costante insoddisfazione e un generale senso di inutilità.

ricordo che pedalavo molto, priva come ero della cosiddetta Compagnia. Io, tra le altre cose, avevo la sfiga di abitare così in centro che non c'era nessuno mai. E siccome ero priva del motorino non era possibile andare a trovare i miei amici che avevano tutti la fortuna di abitare in Città Giardino, oppure ai Forcellini; quindi, quando Sandra non poteva venire da me, mi trovavo sola, che quelli del Prato della Valle non erano frequentabili, e quelli di Sommariva ancora meno.

Andavo a scherma, alla accademia in via Carlo Dottori, e lì trovavo l'unico posto al mondo in cui stavo bene. Per il resto era un disastro. Vagavo per la città senza nemmeno sapere quale era il mio malessere, ma certo bene non stavo.

dicevo che appunto, fumavo un pacchetto di MS al giorno, quelle morbide, che così potevo dare forma al pacchetto mentre lo schiacciavo man mano che fumavo. Faceva molto figo fumare. Entravo a scuola al mattino con la sigaretta spenta in bocca: un vero affronto per i miei insegnanti che la scambiavano per una sigaretta accesa, mi gridavano :-Ehi! Tu! Non si fuma nei corridoi!

e io prendevo la sigaretta con le mani e la mettevo in tasca. Una faccia da schiaffi non da poco, lo ammetto.

Ricordo che quella primavera avevo un cappottino leggero leggero, blu, di lana finissima, ampio, che se giravo su me stessa si apriva e faceva come le ruote di un dervisha. Quando ero entrata in classe, naturalmente in ritardo, con il mio spolverino nuovo, avevo visto lo sguardo di ammirazione della Checca Paccin e della sua insopportabile amica Leòn. Era un capo costoso e ricordo che mia madre si era raccomandata di averne cura. Infatti. Lo buttavo dappertutto. Ricordo che un giorno pedalando arrivai davanti al Santo, luogo dove andavo spesso. Lì, trovai degli amici, e non ricordo davvero più chi fossero. Si beveva, all'epoca, si beveva molto. Io bevevo molto. Ricordo che giocammo a pallone la sera davanti alla piazza del Santo, che qualche balla decente dovevo averla raccontata ai miei perché ricordo che era sera, ero ubriaca, e mi ero sdraiata con il mio bel spolverino, sul muretto di cinta della piazza. E lì, ricordo, pomiciai, non so chi fosse lui, non aveva importanza, io pomiciavo e la vita andava avanti così. Gran pomiciate, grandi bevute, grandi chiacchiere inutili che mi sfinivano nella ricerca continua di un posto che fosse il più lontano possibile da me stessa. Ma quella sera lui si era seduto vicino a me, e aveva parlato con me, di poesia, e di amore, e di vita, e ricordo avevamo intavolato una discussione su Catullo che io amavo e lui anche, e poi ancora non so, ma parlavamo, ogni tanto ci baciavamo che lui era un mio compagno di classe che io non avevo mai badato fino a quel momento, (che li tenevo tutti a debita distanza io, ero bravissima, erano tutti piccoli loro, tutti giovani e piccoli) ma quella sera le sue parole erano balsamo per me, e le poesie dei grandi poeti che lui citava a memoria facevano da tappeto ai nostri pensieri: ricordo la facciata della chiesa, le rondini che avevano volato in stormo fino a poco prima, le risa degli altri, e noi due fermi a chiacchierare, io seduta a sentire le parole d'amore eterno, mentre mi si apriva uno spiraglio nella mente. Sì, l'amore esiste, è come dicevo io, sarà così, completo, totale, di fiducia. Devo fidarmi, ancora fidarmi. La facciata precisa e solida del Santo era davanti a me.

Non c'era il cellulare e purtroppo nemmeno l'iPod. A casa mia, dopo anni di discussione, avevano comprato uno stereo, che però era stato messo in sala, cosicché era impensabile poterlo ascoltare, dal momento che la sala era esattamente al centro della casa, e la musica dava fastidio. Così sono praticamente cresciuta senza musica, a parte le lezioni di pianoforte che avevo preso per completare la mia educazione e che avevo mollato dopo pochi anni nonostante avessi "una bellissima mano, peccato il caratteraccio". Anche la mia insegnate di pianoforte aveva ceduto le armi, dal momento che il solfeggio non lo volevo fare, Mozart lo sbagliavo sempre, e mi ero invece messa in testa di suonare una cosa di cui avevo portato trionfante lo spartito. Si chiamavano Pink Floyd, ed era una cosa che, secondo la mia insegnante dagli occhiali rotondi e spessi, assolutamente non si poteva fare, non prima di anni e anni di studio e di duro lavoro ( e comunque, - diceva la mia insegnate a mia madre- questa è musica che la suonano dei drogati...- ) e così finì anche quell'approccio alla musica. Ma l'LP lo comprai lo stesso, che era bianco e doppio e aveva all'interno tutte le parole delle canzoni. Così mi ero messa a tradurle, finché un giorno mia madre mi aveva scoperto e aveva minacciato di buttare via quell'album (-...che con te non so più che fare!- gridava esasperata - ma se credi di prendermi in giro ti sbagli!- e io non volevo prendere in giro nessuno, semplicemente volevo tradurre l'album dei Pink Floyd perché la musica di The Wall mi faceva volare lontano, e mi pareva a tratti di poter arrivare anche in quel posto nascosto dentro di me, dove avevo nascosto le mie cose che erano le mie e basta, solo mie).

Mi è venuto in mente oggi quel periodo, perché cerco, nel farmi una ragione delle mie giornate di donna adulta, cerco di capire perché Semprequello mi ha preso così, che in fondo ho una lista lunga di cose che vorrei io da una relazione, e di queste non mi pare me ne abbia date molte. Forse.

Appunto, non so. Devo capire.

Mi è venuto in mente così che tanti anni fa un giorno dopo quella notte entrai al Santo, e fui come accolta dal buio e dai marmi, e dall'eco dei fedeli, e andai disperata alla tomba che ero in un momento di lucidità, in cui avevo in mente me stessa persa, senza vie d'uscita, incastrata in una vita che in certi istanti non aveva dato possibilità alcuna di evolversi e pareva chiusa e raggrumata in un pomeriggio estivo, soffocata come in un letto con le finestre chiuse. Avevo trovato conforto, posando la mano sul marmo nero della tomba, ed ero uscita non dico serena, ma almeno non turbata, senza la sensazione di non poter scappare dalla mia vita, ma con la netta impressione che potevo respirare ancora.

La sensazione di guarigione mi era rimasta impressa, associata per sempre al mio spolverino blu con il quale facevo da copertina per me quando mi sdraiavo ancora dappertutto, finché la stagione passò e mia madre lo regalò via (che io invece ci tenevo a quel cappottino e lo avrei portato ancora, ma andava cambiato - è diventato uno straccio, ma come ti vesti, io non ti mando in giro vestita come una zingara- ).

qui forse c'è una strada aperta dal Semprequello, che dovrei pensarci su, e rifletterci ancora su quella sera in cui ridendo ma forse preoccupato, mi ha dato un paio di braghette estive sue, e io che mi ero detta che non sarei mai più uscita dal suo bagno, irrazionale come sempre io, con l'acqua del lavandino che correva rumorosa e io che avevo il cervello in corto circuito, completamente incapace di articolare parole, che avevamo appena finito di stringerci sul tappeto rosso, e io poi ero rotolata via, su me stessa, lontano, e lui non aveva detto niente, era rimasto miracolosamente zitto e fermo, mentre ci guardavamo così, sospesi, un attimo di vita eterno per me, una connessione buona che si apriva faticosamente la strada nel mio cervello. ( Per me fu così, per lui chissà? Forse un niente?) Una emozione così spaventosamente violenta che non riuscivo a trattenerla, un'onda che annulla il tempo e la vita, che riscrive il passato e il presente. Una sensazione poi di guarigione, mentre io ero ancora incapace di parlare e posata al carrello sorseggiavo qualcosa da bere, mentre lui mi guardava che nemmeno in mille anni avrebbe mai potuto capire cosa vivevo io, eppure mi guardava mentre cercavo ancora di riprendermi e respirare... e per rompere il silenzio mi aveva detto:- ma come stai bene con le braghette corte- e io avrei voluto abbracciarlo e non l'ho fatto perché sapevo che non mi sarei trattenuta e avrei parlato.

ebbene, ho ripreso ad andare al Santo, che non molto tempo fa sono entrata ancora disperata e sono uscita serena. Allora, mi sono detta quel giorno di circa 4 anni fa, allora se entro che sto male ed esco che sto bene, allora devo dare qualcosa in cambio. E poiché in quel periodo correvo, correvo sempre al mio lavoro alla Guizza, dalla Donna Cattiva, e poi correvo e tornavo a casa, e non ero felice, ancora non ero felice ma anzi stavo male, e dappertutto arrivavo in ritardo (in ufficio di 10 minuti , a scuola di 5 minuti, dal dottore, a letto, dalle amiche, sempre sempre arrivavo in ritardo e ciò mi faceva male ma non riuscivo mai ad arrivare puntuale), allora ricordo che ferma come ero in piedi sulla mia bicicletta, guardando la piazza ho pensato e ho detto a mezza voce:

-ok, prometto, prometto che ogni volta che passo di qua, mi fermo, entro nella piazza e mi fermo, che io sia con la bici o a piedi, arrivo e fermo la bici e devo posare il piede a terra, che mi conosco so che poi trovo le scappatoie. Se anche fossi in ritardo con il mondo tutto, non importa, mi aspetteranno. Prometto che mi fermerò e poserò il piede a terra.

Così ho fatto: e se proprio proprio sono in ritardissimo cambio strada e vado in via Roma (che mi sento un po' una merda, ma penso poi che il Santo mi capirà, e comunque non ho disatteso al voto).

Da quando lavoro al mio Lavoro Benedetto, ogni giorno due volte al giorno passo per di là, che poi non si potrebbe nemmeno. D'estate ci sono due energumeni che controllano la decenza delle vesti delle donne, e vendono loro un orribile copertina arancione con cui coprirsi le spalle o le cosce. D'inverno fa troppo freddo , siamo tutti coperti, ma lo stesso io sono fuori legge. Eppure entro nella piazza, mi fermo, poso il piede sinistro a terra e riparto.

Ultimamente però, dato questi chiari di luna poco propizi alla serenità di coppia, mi fermo e mentre poso il piede a terra, penso alle mie amiche che mi danno sostegno ma che sono nei guai pure loro. E quindi sono ormai mesi (forse da maggio?) che mi fermo e guardo il Santo e la sua facciata di mattoni, e dico:

- Ah, Sant'Antonio, pensaci tu, valà, fammi sto favore. Mettici nella lista, che siamo in due disperate.

Poi, man mano che i giorni passavano mi sono resa conto che disperate non eravamo più solo in due, ma in tre. poi in quattro, infine in cinque. Così, ogni volta mi fermavo e dicevo, tra me e me:

- Ah. Sant'Antonio, pensaci tu, dacci una mano. Che siamo disperate.

Poi mi sono anche guardata intorno: dalla chiesa escono vecchi e vecchie, entrano giovani coppie, gente con i bambini, gente che ci crede davvero, che va a messa tutti i giorni, gente che magari ha malattie serie, problemi gravi ma davvero gravi a casa. E io mi sono sentita un po' una merda a chiedere un aiuto. Che tra di noi, veramente di sante non ce n'è. Allora un giorno, ferma che ero lì, con il cuore pesante come un macigno, che il Semprequello non mi ha fatto solo bene, ma a volte mi ha fatto davvero male e mi ha contratto il cuore, ma comunque niente di paragonabile ai grandi dolori della vita, allora quel giorno mi sono fermata in mezzo alla piazza con la mia bicicletta e ho detto:

- Ah, Sant'Antonio, dacci una mano. Magari mettici in fondo alla lista, che probabilmente c'è un casino di gente prima di noi. Magari ci scrivi di lato, a matita, uno scarabocchio dopo tutti gli altri, basta che ci metti nella lista pure a noi. A noi basta essere nella lista.

Così mi era parso meglio e la faccenda ha continuato per molti mesi così, e devo dire che a volte mi è parso che riuscissimo ad ottenere dei risultati. Chi più, chi meno, in maniera altalenante, ma insomma, mi pareva che a turno riuscissimo a sfangarcela.

Poi, con dicembre, è stato un tracollo.

A una il colloquio è andato male, malissimo, ha scoperto che la babysitter è un'alcolizzata e che il conto in banca scivola sempre più in giù. Un'altra ha cambiato la compagine dell'azienda, ha perso il capo che la faceva disperare ma che tutto sommato le dava delle garanzie, ha mollato il marito, ha smesso di fare sesso foresto, ha smesso di fumare tutto insieme e aspetta che l'Alpino si dia una mossa e scenda dai monti. Un'altra barcolla nel buio di verbi antichi che non si usano più, ha chiuso una porta che non si era mai aperta e adesso galleggia, senza un contratto con una fatica di vivere che solo noi conosciamo. Un'altra ancora ha traslocato, ha preso armi e bagagli e con la sua fidanzata ha cambiato città, cambierà lavoro, e speriamo guarisca dalle pene che la vita le ha dato. Una ancora si è presa una gran sberla in faccia, è rotolata da una parte all'altra della stanza e deve ancora capire se può alzarsi in piedi o le conviene starsene ferma lì.

Eh, mi sono detta, non vabene. Allora mi sono fermata davanti al Santo (che tanto mi ci fermo due volte al giorno, ne ho di tempo per chiacchierare con il Santo dalla piazza), e ho detto:

- Sant'Antonio, dacci una mano. Non vedi come siamo messe? Che fai? Non puoi renderci le cose un po' facili?

Ma la ieri, mentre ero lì nella piazza, ho avuto la fulminazione, e mi sono detta:

- vuoi vedere che non sa chi siamo? Vuoi vedere che devo dargli i nomi?

E così, da ieri, arrivo in piazza, scanso i fedeli, mi fermo e dico:

- Sant'Antonio, guarda che siamo, in ordine sparso: io, Patrizia, Ro, Gina, Patrizia l'altra, mettici dentro anche Federica, guarda che siamo noi!

Mi pare chiaro però che ci voglia un po' di tempo prima che Sant'Antonio si accorga che siamo proprio noi.

Ma certamente, a convalida del mio pensiero, e cioè che dovevo essere più esplicita ben prima di ieri, stamattina, alle 7 e 15 mi arriva un sms:

- WOW! Ho vinto un posto di lavoro per 3 mesi a Mestre! Sono in corriera e sono felice! Era da una vita che lo aspettavo sto posto!

firmato_Michela Marcatobarbato

eccheccazzo, mi sono detta: si è sbagliato e ha fatto la grazia prima a lei. Accidenti, lo sapevo che dovevo dire tutti i nomi subito, lo sapevo!

Insomma, mi tocca ricominciare daccapo. Meno male che almeno quella è felice.

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