Ah signora mia, sapesse... (3/3)




Perché la mia vita deve essere così complicata, le cose sempre difficili, nulla che fili liscio mi pare, sempre un ostacolo dopo l'altro, spengo la stampante, perché il talebano non mi manda una mail invece di telefonarmi sempre, spengo la radio e raccolgo in un mucchio le mie carte, perché ho sempre questa sensazione acuta di vedere le cose che non si vedono, signora mi dica lei, perché... Dice, sì? lo faccio per proteggermi, sì? Anche il Cavaliere biondo sì? Anche con Il Carro, sì? Anche con Semprequello? Metto la cartellina delle RI.BA da parte, infilo le penne nel porta penne, prendo la matita con il suo nome sopra, la peso un attimo in mano, e decido che la butterò domani: ho sempre tempo per buttarla ( e poi devo dirle, che quando mi ha preso quel moto di nervoso , giorni fa, che mi sarei strozzata da sola per quanto il mio pensiero si getta sempre là senza alcuna speranza, e mi è capitata la matita in mano, la sua, sa, l'ho presa tra le mie due mani e l'ho spezzata, e lo sforzo però è stato tale che le mie mani delicate hanno risentito del contraccolpo, le fibre di legno scadente si sono aperte e mi hanno lacerato anche parte del palmo, ma io sono una donna di carattere e non ho pianto, signora mia, sono stata forte e non ho pianto, e ho gettato nel cestino quell'avanzo di matita, e mi sa che appena torno butterò anche quell'altro, ma senza spezzarlo stavolta, che solo il Magazziniere Anziano si è accorto che qualcosa non andava e mi ha portato un cerotto, non ha fatto domande e mi ha detto - ecco qua, basta solo fare attenzione - che vede, cara lei, i gentiluomini esistono ancora e hanno forme e sembianze nascoste, e non hanno bisogno di titoli o di corone). Chiudo così il mio ufficio, saluto il personale che è ancora lì, scendo le scale metto l’auricolare al mio iPhone per sentire un po’ di musica. Fuori il sole brilla, ormai è l’una e dieci, il Semprequello mi ha già chiamato 3 volte stamattina (due delle quali non gli ho risposto che pedalavo veloce per andare al mio lavoro benedetto, ma alla terza sì), apro la bici liberandola dalle catene, la inforco e pedalo in Prato della Valle svirgolando tra i pali. La musica si ferma e parte lo squillo: è lui. Ancora, dopo tanti mesi, ancora signora mia sobbalzo sorpresa quando vedo il suo bel numero comparire sullo schermo del mio iPhone: i tre e gli zeri brillano nella loro sequenza perfetta (che certamente non ho memomrizzato il numero con un nome, meglio che appaia il numero scoperto, così, che nessuno possa allungando il collo leggere il nome di chi mi chiama e mi fa sorridere e ridere così. Un numero anonimo è molto meglio di qualunque altro nomignolo). Rispondo alll’invito senza pensarci, che a noi hanno insegnato che sarebbe bene fare un po' le ritrose, e invece io sono ribelle e dico:

- sì, sì ho piacere di pranzare con te. Vediamoci qui in Prato della Valle, dai, ti aspetto.

Riporto così la bici al suo palo, e scariche di energia mi attraversano il corpo: volteggerei su me stessa se potessi, ma lei sa che le signore della mia educazione non sono avezze a fare simili sciocchezze in pubblico, che nemmeno in privato dovrebbero farle. Chiamo Figlio, combino così i miei due poveri figli, con un pranzo che per me è aria fresca, una sorta di droga per la vita, una questione di priorità per cui adesso mi fa bene. Sono due giorni che parlo con Semprequello e spingo l'asticella più in là per spostare il confine e capire di più, che io accetto tutto ma il non capire no, mi manda in pallone, per questo signora mia ho accettato finora, perché era un sfida anche questa andare alla cieca e non porsi domande. Ma ora è tempo per me di capire e non seguire più solo l'istinto e per questo ora gli faccio domande: mi è parso di vedere spiragli, ma non ne sono sicura. In ogni caso, credo di non aver ancora toccato il fondo con lui (ovvero, e so che lei mi capirà, non sono sicura che lui non mi voglia -una doppia negazione, come lei ben vede, e già questo non è un segnale buono). E poiché ho le gambe che brillano dal desiderio di ballare e muoversi, e lui tarda ad arrivare che viene da lontano, passeggio in Prato della Valle, un luogo dove finalmente i miei pensieri possono liberamente spaziare senza confini: e suggerisco anche a lei di venire in questo luogo che è di tutti e di nessuno, dove il cielo si apre in una cornice creata dall’uomo per l’uomo. So per certo che anche lei apprezzerebbe la vastità del cielo e la solidità della terra. Così cammino, e il sole mi scalda e senza pensare arrivo al banco dei fiori che sta chiudendo, e lì vedo le rose: sono felice, lei sa, in questo alternarsi di emozioni forti, in questo momento sono felice e domando il prezzo di una rosa, un euro, la compro, la voglio bianca. Io vivo il mio presente, il più possobile.

Il fioraio mi guarda incuriosito, prende la rosa con cura, la avvolge stretta in un foglio di carta velina bianco e me la dà. Io la prendo, la rosa bianca da regalare al mio Semprequello senza alcun motivo: mi piace, è un piacere per me fare un regalo. Una rosa, un euro. La guardo un po’ soffocata dalla carta velina bianca, e allora con gesti cauti la libero dall’impaccio e avvolgo la carta rotolandola un po’ verso il basso e raggruppandola intorno al fiore: pare ora una corolla di carta bianca che avvolge un cuore bianco di rosa. Passeggio ancora, e mi perdo a guardare il cielo così carico di nuvole e di sole, e faccio alcune foto, che tanto Semprequello ancora non è arrivato, lo chiamo e dà occupato, si vede che è già arrivato al ristorante di corsa e so che lì il telefono non prende, fotografo la rosa, Prato della Valle, il cielo e poi mi incammino verso il ristorante, con la mia rosa bianca dal gambo lungo in mano. Cammino, la gamba tesa, il passo calmo, la mente che piano piano si vuota e fa spazio.

Appunto signora mia, fa spazio.

E lo vedo, dopo mesi, quanti sono, 6? 10? dall’altra parte del portico antico, con il suo cappotto di cashmire blu, le falde che sbatacchiano, quell’aria un po’ arrabbiata e un po’ pensierosa, a grandi falcate esce dal portico e attraversa la strada dando un’occhiata distratta alle bici che sfrecciano e senza accorgersi che dall’altra parte del portico ci sono io, ferma, con gli stivali dal tacco alto, la gonna stretta, una giacca marrone con un collo di volpe e una rosa bianca in mano. Lo chiamo, senza pensarci su, lo chiamo : J. !

E lui alza lo sguardo e gli si ferma il cuore.

Io ho la schiena diritta, lo sguardo limpido ficcato su di lui, lo aspetto dall’altra parte della strada e mi sento come una statua di quelle del Prato della Valle (sennonchè quelle sono tutte figure maschili, e io no, io decisamente no, non oggi che ho tutti i miei uomini che mi incontrano oggi) immobile e plastica. Lui si sorprende, abbassa lo sguardo, ride e mi guarda ancora, mi si avvicina, tace, fa scorrere lo sguardo sul lungo gambo della mia rosa bianca, poi lo alza e mi guarda e io dico:

- ehi, che fai qui?

Come se fosse mia la strada, mio il Prato, mia la sua vita. Risponde pronto, come sempre pronto è stato lui a rispondere, e mentre parla io lo guardo, e cerco quell’azzurro che non vedo perché lo sguardo si muove veloce ovunque ma non mi fissa, e cerco quei capelli in cui ho sprofondato spesso il mio respiro e guardo quel viso in cui ho abbandonato i miei baci, e lui veloce risponde:

- ho la pressione alta e sono grasso, quindi non mangio e cammino, dopo di te tutto questo, hai un fazzolettino di carta? No, ce l’ho, guarda, non ne ho bisogno ce l’ho. E tu?

- lavoro qui

così dico io, e vedo la pelle del viso un po’ tirata, lo sguardo affaticato, le spalle mi sembrano un po’ curve, do un ‘occhiata veloce alla porta del ristorante dove penso che Semprequello mi stia aspettando, e mi sento alta, alta due metri mentre una gran voglia di vivere si impossessa di me, e torna un raggio di luce che si infila tra le nuvole e lo colpisce sul viso mentre lui si muove, mobile sulle sua articolazioni, e sono ferma immobile io, e lui si aggiusta il cappotto, pulisce gli occhiali, mette via il fazzoletto, guarda la rosa, le mie scarpe, il collo di pelliccia, e ride, ascolta me che taccio e lo guardo e mi chiede

- La famiglia?

- Ah bene bene, grazie,. I ragazzi sono diventati così grandi… dimmi di tuo figlio grande…

- È grande e non dimagrisce. I ragazzi invece?

- Bene, ti ho detto bene.

- Ah ho piacere. Quindi sei tornata con tuo marito?

Mi schiaccia un macigno, arriva come un sasso e violento si posa su di me, sento le spalle che si curvano, ma poi si risolleva e vola via, e mi lascia leggera, che acnhe qui ho visto un mondo di cose nella frazione di un secondo, oh J mio non hai capito niente, perché sei così delicato e irruento, con me e con la vita come con il cibo, e vuoi che non sappia quanto urgeva questa domanda dentro di te, quante volte te la sarai chiesta e finalmente me la poni, questa domanda, e io che ho sofferto per mesi della tua assenza pensando che tu non soffrissi per la mia, e invece adesso mi chiedi della famiglia e io penso ai ragazzi mentre tu pensi al Talebano. Eh sì, signora mia, così avrei voluto dirgli, e prenderlo per le spalle, e dirgli, accompagnami, passeggiamo, ma avevo Semprequello che mi aspettava a pranzo a due metri di distanza, e una stanchezza che si posava sulle spalle, ma ho riso, di cuore sincero, ho riso e ho detto

- ma che sei matto? No, no, andiamo dal giudice il 9!

- No, no, ecco, sono matto, figuriamoci, ho fatto una domanda scema…

E si muove il mio J, sembra un burattino tutto snodato, allarga le braccia, e scuote il capo, e ride, e posa il peso da una parte all’altra del corpo, e continua a muoversi mentre mi dice

- beh, allora sarà bene che non mi faccia vedere in tribunale il 9…

- e perché? Non è mica colpa tua…

si erge il silenzio, lui fissa la rosa che penzola a testa in giù, vorrei prenderlo e baciarlo ma signora mia, mi rendo conto che una donna come me deve imparare a misurarsi e quindi con distacco dico:

- devo andare, mi aspettano a pranzo

dopo di te tutto questo, come sta la famiglia, ah ma allora siete tornati insieme, ah non vengo in tribunale, ah la rosa, ah dopo di te tutto questo…lo fisso e non resisto, e allungo la mano, la mia mano sinistra e lo tocco, gli faccio una carezza sulla sua guancia destra,

- ciao J

gli dico e lascio che la mia mano lo tocchi e lui si fa toccare signora mia, poi mi stacco e mi volto ed entro al ristorante dove siede Semprequello, seduto di spalle nella saletta interna, mentre a me tremano le gambe e la vita si fa sentire con la sua potenza dii fuoco. Appoggio la rosa sul tavolo, con il fiore rivolto verso di lui, che si alza appena mi vede, aspetta che io mi tolga la giacca, e vede il fiore e dice:

- ah, e chi è che ti ha omaggiato?

- è per te

dico io, e mi viene da piangere, signora mia, che le emozioni arrivano così, ribollono dentro di me, "che ne sai che sono arrabbiato? In tribunale alle 10, te lo avevo detto! la rosa è per lui, la famiglia come sta, ah allora siete tornati insieme, dopo di te tutto questo"… mi siedo e arriva la cameriera che mi conosce e ormai conosce pure lui, che non è la prima volta che pranziamo insieme qui, arriva ed esclama:

- uhh, che bella rosa!

E mi guarda, e dalla cucina arriva la cuoca, che si sente in confidenza con noi ormai, altre volte ha preso le ordinazioni per noi, solleva la rosa, la annusa, e dice

- che profumo speciale, che bello ricevere una rosa!

e io penso, signora mia, un euro una rosa nemmeno un motivo e lei mi guarda e aspetta che io le dica che sono felice e io sorrido e rispondo

- la rosa è per lui, l’ho presa io per lui

e Semprequello mi guarda, sorride imbarazzato, non aveva capito che era per lui, guarda la cameriera, poi guarda il fiore, poi guarda me, e torna a guardare la rosa e

- grazie

mormora e intanto ordiniamo il pranzo. Eh, signora mia, che fatica, se sapesse. Aver fatto tanta strada così, essere arrivati vicini alla meta, credere di poter afferrare il riposo, bere alla fonte dell’acqua pulita, camminare sul verde di un prato, e poi inciampare ancora, signora mia, e non avere più risorse per tenere gli argini alti, e sentire la pancia che si contrae

- sei bella oggi, ti vedo così luminosa, sei anche dimagrita…

- perché non rispondi alle mie domande, perché?

Ed è una voce mite la mia, direi quasi senza speranza, non ho fame ma ho una gran voglia di piangere, le mie emozioni rotolano dentro di me, che ci faccio io qui…

- io temo di non avere le risposte alle tue domande.

Ah signora mia, le dirò, ci sono volte in cui il cervello smette di ragionare perché già molte e molte volte ha fatto il percorso da una sinapsi all’altra ed è stanco, improvvisamente stanco e decide di non dettare più le regole del gioco, e tace nella sua parte più produttiva, cede le armi, e concede spazio solo a quella parte verbale che permette di articolare le parole seguendo il flusso del cuore, che pompa e si ferma, pompa e si ferma.

Ah signora mia, le dirò, lei che si lamenta di avere una vita così piatta e faticosa perché piatta, ci sono volte il cui il cuore smette di sentire e delega al resto del corpo le proprie funzioni, e non si riesce quindi più nemmeno a seguire l’impulso delle emozioni, e la vita prende un ritmo che non ha ritmo, è disordine e abbandono, che nemmeno il cervello sa più distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, o il cuore sa capire ciò che è vero e ciò che è falso. Ci sono delle volte in cui i confini non esistono più e nemmeno le battaglie, né quelle vinte né quelle perse. Manca il senso del decoro, dell’opportunità, dell’orgoglio, del diritto, della volontà, tutto si mescola e si confonde e il cuore delega al cervello che ha già a sua volta abdicato. In queste situazioni, signora mia, è la stanchezza che prende il sopravvento, e scompiglia le carte del gioco, rovescia le posizioni stabilite e conquistate, abbandona territori e sceglie altre battaglie, e fa scappare e perdere le priorità, eliminando prospettive a medio e lungo termine e concentrandosi solo sul presente, l’attimo di ora, in cui non si può più combattere, ma è maggiormente dignitoso rendersi conto di aver perso, e la stanchezza così impone di deporre le armi, ai piedi del vincitore, fai di me quello che vuoi, tu hai vinto io ho perso.

- io sono innamorata di te.

E tace lui, quel Semprequello che tante battaglie ha vinto, combattuto e vinto, molte le ha perse, ma questa proprio non se l’aspettava, non sa reagire povero lui, e io ho continuato, - alla Patrizia non piaci, - Cosa? - Lei ha delle perplessità su di te, su come ti comporti, ma io non so se ti guardi mai e tu stai con la Badante il fine settimana e poi mi chiami tutte le mattine e le volte in cui lei non c’è, e lei lo permette, in qualche maniera lei te lo permette, e mi fate male, tu e la Badante mi fate del male, e la Patrizia dice che siete tutti così, voi uomini potenti, te e l’Aoristo e il Carro e lo Psicopatico e tanti altri che ci circondano che quando si tratta di soldi per voi è sempre tutto facile, ma intanto il lavoro che io ho fatto per te mica me lo hai pagato (e lo stesso vale per gli altri, signora mia, lei sa bene di chi parlo, io so che lei capisce quello che scrivo con tanta foga, lei lo sa), nemmeno mi hai chiesto se volevo essere pagata e mi hai tolto l'opportunità di dirti che no, non volevo i soldi, eppure io sì che vengo e pago i tuoi conti, ma certo questa è una cosa che riguarda noi e il nostro senso di orgoglio, si vede che per voi uomini l’orgoglio non passa attraverso il pagarci per le cose che noi facciamo di lavoro per voi.

Tace Semprequello a volte sorride, quando io ho le pause, e mangio e mastico lenta, ogni tanto dice qualcosa che sprofonda dentro di me, cose che non sento che tanto appunto qui nessuno detta più le regole se non la stanchezza e racconto di J che ho appena incontrato e mi chiede lui:

- ma cosa aveva sto J di così particolare?

Era sensibile J, principalmente sensibile in maniera rara, non ho mai incontrato una persona così, (e abbassa il capo Semprequello, mastica e spezza i grissini, e tormenta il cellulare ogni tanto, e versa l’acqua nel mio bicchiere e ogni tanto mi guarda di sottecchi, e sfiora con lo sguardo il mio seno, e poi sale sul collo, e ascolta) sensibile lui come sei tu, solo che lui era sensibile e non temeva di mostrarsi tale, tu lo sei nella stessa maniera e forse anche di più, ma tu ti nascondi, ti copri di un’armatura che non ha più senso, non vuoi, ed è un peccato:

- sono un selvatico, come hai detto tu

è vero, penso io, ah signora mia, come è vero che è un selvatico quest’uomo, che mi ricorda un gatto bianco nel mio giardino d’infanzia, che era bianco candido e cucciolo e se fosse andato sulla strada sarebbe morto e io volevo salvarlo e cercai di prenderlo quel gattino, signora mia, ma quello selvatico era, e non voleva il mio cibo, il mio calore, la mia protezione, e mi graffiò le mani e preferì fuggire eppure lui stesso avrebbe potuto godere di libertà e di sicurezza, e così è il mio Semprequello, selavatico e solitario,

- resterai vecchio e solo e scatarroso

gli dico io mentre lui si soffia il naso, che è raffreddato, e non sta bene, lo so, lo so signora mia, che lui ha il raffreddore ma che il raffreddore che dura due settimane è il sintomo di una malattia del cuore che non vuole respirare, che teme di lanciarsi e affidarsi alla passione e intraprendere il cammino su un sentiero che ora come ora non dà garanzie alcuna. Non so se ce la faccio, signora mia, non so davvero se ce la faccio.

- Portami fuori

Gli chiedo e usciamo a passeggiare intorno al Prato della Valle, c’è l’acqua che scorre, io ho le mani in tasca, lui anche, io passeggio e mi guardo le scarpe, la strada è difficle, lui tenta di parlare io taccio. Ha un modo goffo lui di rompere il silenzio, mentre io vedo che non c’è spazio più per me, che non viene lui a me, che troppa è la mia fatica, quando lui improvviso mi dice:

- beh, essere innamorati non è mica una malattia.

e io, signora mia, in quel momento ho odiato i miei tacchi alti, e la mia gonna stretta, e la mia età, e il mio essere madre e moglie e il dover ringraziare il mondo perché a 44 anni sono entrata nel mondo del lavoro con una busta paga di mille euro, un contratto di 6 mesi per sostituzione di maternità, un corso di aggiornamento del nuovo software a cui la persona che io sostituisco non mi ha iscritto, un marito che mi è stato vicino per più di 20 anni senza capire niente di me, un amante che mi ha rovesciato la vita e che mi domanda se sono tornata con mio marito, un uomo nuovo che mi dice che innamorarsi non è una malattia, e ho odiato tutto questo signora mia, compreso l’attesa che hanno i miei figli di me che torni a casa, la casa da mettere in ordine e lo scaldabagno che non funziona, un doppio lavoro che faccio di notte, una scrittura che rubo alla vita, ho odiato tutto questo e so che lei mi può capire.

Che l’istinto sarebbe stato quello di urlare, allungare il collo verso l’alto e trasformarmi come nei cartoni animati, allargare le braccia e avere le ali, e girando intorno a me stessa alzarmi tra lo stupore di tutti e offrire al mondo lì presente il più grande orgasmo mai visto e sciogliermi nell’urlo e nel piacere e dissolvermi nell’aria così, una nuvola di piacere che ride e che sparisce.

Invece, le mani in tasca, la testa bassa, la borsa appesa alla spalla destra, ho detto

- è tardi, vado. Saluti e baci.

E senza guardarlo ho svoltato improvvisamente a sinistra, ho alzato il capo e con la mia falcata ampia, puntando bene i piedi sicuri sul pavimento della piazza più grande d’Europa mi sono incamminata, la testa eretta, le spalle diritte, gli occhi asciutti, la gonna stretta che si tira ad ogni passo, mi sono lasciata alla spalle il passato, vado avanti, avanti e avanti, non lo voglio io un uomo che non mi vuole, scommetto che non morirò, adesso vado a lavorare e basta.

Signora mia, così è la mia vita: che, se proprio proprio devo dirgliela tutta, non so nemmeno se gli risponderò la prossima volta che mi chiama, perché mi chiamerà di sicuro, e non sarà comunque alcuna forma di strategia, ma sarà una sorta di protezione per me, i miei piedi doloranti, e magari riuscirò a non rispondere e chissà, magari lui riuscirà a non chiamare. In ogni caso lui, quando mi vorrà veramente, saprà come fare.

La ringrazio della sua cortese attenzione, signora mia, tornerò presto a trovarla nel suo salottino prezioso, dove trovo ristoro e calma, e dove le mie parole si infilano una dopo l'altra in sequenze che mi fanno bene al cuore, dove posso camminare con le mie scarpette di raso e il vestito a fiori.

Sua Superkoars

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