Penso
I miei pensieri si accavallano in questa notte di attesa, nella mia casa solitaria: non vado a lavorare domani e forse nemmeno lunedì. E penso.
Senza che io chiedessi nulla, mi sono stati messi a disposizione una serie di strumenti che mi hanno lasciata strabiliata: non tanto per gli strumenti in sè, quanto per il fatto che, questa volta, non ho dovuto chiedere nulla, mai, nemmeno una volta, e le cose che ho detto e che ho scritto sono state ascoltate, recepite, non ho dovuto spiegarle ancora e ancora, non ho dovuto convincere né giustificarmi. E in cambio di queste mie parole mi sono stati riconosciuti soldi e strumenti. E così nel giro di pochi giorni ho ricevuto uno studio con due finestre, un tavolo antico nero, un computer nuovo di schermo ampio e programmi nuovi, le casse che se metto la musica pare di essere n discoteca, la webcam, la macchina calcolatrice nuova, la stampante laser a colori, le tende fatte dal tappezziere e infine, il giorno prima di Natale, una macchina fotografica della Lumix nuova di pacca tutta per me, che io ho strabuzzato gli occhi e mi sono coperta la faccia con le mani, che questa è un'abbondanza che mi dà alla testa e a cui non sono abituata.
Questa ricchezza di mezzi mi ha anche messo in difficoltà e ho riconosciuto però un filo rosso in questa paura: abituata per anni a fare sempre con meno e sempre con meno, sono arrivata al punto di non saper più gestire l'abbondanza. Così è stato con J, alla cui spinta ed esuberanza di sentimenti non ho creduto. Non ho creduto a lui, alle sue sorprese, alle corse che faceva per venire a vedermi solo un attimo, agli scherzi che mi faceva per farmi ridere, alle parole che mi diceva per rassicurarmi. Non ho creduto a tanta benedetta abbondanza.
Qui lo stesso: tanti strumenti per me, e io che mi muovo un po' spersa in tanto spazio, senza più tabelle di excel e azioni a incastro ma ripetitive da fare: qui mi devo inventare tutto. Ho iniziato a muovermi cauta, che qui dentro sono la prima che fa queste cose, la prima che le propone: eppure sembra, da come mi trattano, che io sia l'esperta. Non sono abituata.
Ma in 25 giorni, la nostra pagina di Facebook ha avuto più di 90 Fan, che sono veramente tanti per una pagina commerciale. Nel mio muovermi cauta, ho ficcato dentro dei video che con la moda non c'entrano niente, confidando nel fatto che tanto nessuno dell'ufficio ha l'account su FB e può quindi andare a vedere cosa metto. Invece grazie a quei link, ho più di 100 accessi per ogni foto. Vuol dire che sono sulla strada giusta. Sono andata giù in negozio con la macchina fotografica due volte: la prima mi sono sentita in imbarazzo. Non mi piaccio, mi sento grassa e mal vestita, fuori posto con una macchina fotografica in un negozio di lusso, con il Maschio Alfa che silenzioso mi aveva seguito. La seconda volta il pomeriggio seguente, più libera, dove il Maschio Alfa ha impartito ordini di qua e di là dicendo alle ragazze di mostrarmi i capi: ho fatto le foto, e nel giro di 5 ore ben in 55 persone erano andate a vederle. Gli strumenti messi a disposizione del mio cervello.
il mio cervello che comincia a muoversi libero: abbondanza di tempo, nessuna necessità di una produttività spinta e di una verifica immediata, apertura ai mercati esteri... Le cose che mi vengono date senza che io chieda. Le mie difficoltà vengono capite e non sono esposte analizzate, verificate su dove sbaglio io: sono difficoltà riconosciute a cui si cerca di porre rimedio. Se non è abbondanza questa...
Penso che l'abbondanza sia la stessa cosa che mi ha incastrato con Semprequello sin dal primo giorno in cui ci siamo parlati e io ho realizzato che aveva dentro di sè una passione per le cose e per il mondo, una passione che a me era sconosciuta in quei tempi di siccità e miseria. Il garbo, la misura, la voce pacata, i sorrisi pochi ma sinceri, il controllo senza apparente sforzo della propria vita, lasciavano intravedere i bagliori della lava incandescente, pronta a destabilizzare l'ordine delle cose.
Se ne è accorto anche lui: mi dispiace aver fatto danni, ma io lo volevo tutto. E lui ha lasciato che io mi avvicinassi, convinto forse che una strada vale l'altra, che dopo tanta esperienza mai avrebbe perso il controllo, riempiendo la vita di cose, istruttori, lezioni, acquisti, idee, viaggi in macchina, gadget, telefonate, aerei, amici, zii, settimane enigmistiche, conti, pensieri, link musicali. Convinto che non leggere e dire niente equivalesse a salvarsi da qualunque coinvolgimento profondo.
Non è vero che innamorarsi non è una malattia: è un disastro a cui si arriva poco a poco, quando basta che le mani di lui si posino sulle tue spalle e scendano lungo i fianchi e le gambe iniziano a tremare per il desiderio. Quando lui nel buio della macchina ti viene a prendere, tu mostri eccitata la scatola dell'iPhone che hai appena comprato e dici: - ma guarda, guarda qua la confezione com'è fatta, basterebbe questo..,.perchè non guardi? non ti interessa?- e lui ribatte, a te che sei uno straccio appena volato giù dal quinto piano:- non mi interessa il telefono, sono venuto per vedere te.
Innamorarsi è una malattia subdola, che ti prende senza che te ne accorgi e ha un'incubazione lunghissima: come quando lo vedi lui, in mezzo alla folla che non riesce a separarvi, lui vicino alla Meringa Sgonfia, mentre Lei è lontana che la cerchi con lo sguardo perché non è possibile che lei non sia vicino a lui _adesso_, e forse sta parlando con qualcuno ma invece no, Lei è lontana, misurata, magra il giusto, pettinata bene, non eccessiva in niente, sola, e tu nel mezzo del triangolo e percepisci nettamente i rapporti che ci sono tra quelle tre persone, li vedi chiari e limpidi e ti stupisci di come gli altri non se ne accorgano, e dici a te stessa che è follia comportarsi come fanno loro, che tu lo avresti preso quell'uomo, gli avresti stretto il braccio e lo avresti portato in giro come un trofeo, e non lo avresti mollato mai da solo di fianco alla Meringa Sgonfia, ma anzi, l'avresti fatta morire, stupida che non è altro, che non capisce non vede, non ha visto, e l'immagine di lui in difficoltà ma ritto in piedi da solo con a fianco le sue paure, questo ti si impianta nel cuore e cresce da solo, e tu poi non sai dove è finito quel seme, e da cosa è nata quella pianta.
Si alimenta di tante cose quella pianta: cose che finiranno nei miei racconti perché sono incastonati nella mia vita.
Altroché che innamorarsi è una malattia, altroché.
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