Ah signora mia, sapesse... (1/3)
Lei dirà che la vita piatta fa schifo ed è faticosa, ma io Le assicuro che
anche la vita piena di colpi di scena non sempre è un granchè, e sebbene in
effetti non si possa definire "schifosa", di sicuro è faticosa.
Segue resoconto.
Mia cara signora,
le dicevo prima, di come la vita sia così faticosa… che una persona per bene non dovrebbe proprio trovarsi in queste situazioni, dal momento che è vero sì, che ho piazzato un bel paio di corni in testa a mio marito quella volta, ma vero è anche che lo avevo avvisato e avevo cercato di metterlo in guardia parecchie volte su quello che stava per prevedibilmente succedere… In ogni caso la mia vita ha preso poi una strada tortuosa, piena di sassi, e io ci sono andata correndo con le mie scarpette di raso…Non erano proprio adatte.
Ma tant’è.
Così ho dovuto rifarmi le scarpe, e pure curarmi i piedi, che testarda come sono sempre stata ho continuato a camminare su quella strada orribile e ciò nonostante la strada si rivelasse piena di fango, con buche nascoste, curve a gomito, sassi aguzzi. Come Dio ha voluto sono arrivata fin qua, e devo dirle che ho lasciato pure una bella scia di sangue dietro di me, nonché cadaveri di amiche, e pezzi della vecchia me (volendo rifare la strada a ritroso, lei potrà notare pezzetti di cuore, e anche di fegato ormai essiccati, e ciocche di capelli strappati dai rovi, e abiti, decine di abiti usati e lacerati, nonché cappelli di parecchie fogge e ancora, mi perdoni la volgarità e l’immagine cruda, ancora schizzi di sangue ovunque). Che vuole, signora mia, è stata una strada veramente faticosa. Sempre in salita, capirà, che qualche volta ho anche pensato di fermarmi e tornare indietro, magari recuperare qualche abito vecchio e fasciarmici i piedi, che veramente posarne uno dopo l’altro, per terra, era un dolore indicibile. E invece, cara la mia signora, ho proseguito, e lei, la prego, non mi chieda il perché. Che già ne ho lasciato uno per la strada che mi chiedeva sempre il perché, e quindi, so che lei mi capirà, ma la prego non mi chieda il perché del mio proseguire (seppure costui era un fisico e pure maschio, due colpe che lo rendono incapace di intendere e volere le mie cose, ma , badi bene, solo le mie, che quelle del mondo invece le capisce tutte eccome).
In ogni caso, si diceva, come Dio ha voluto, le dicevo e mi ripeto sempre, sono arrivata fin qui, dove la strada ancora è irta di schegge e sassi lavici taglienti, costeggiata di rovi dalle spine appuntite, esposta a volte ai venti impetuosi che soffiano da Nord, ma almeno ormai ho delle scarpe nuove, ho imparato una certa dimestichezza nel muovermi in terreni ripidi, e soprattutto, mi perdoni l’ardire, me ne frego di dove ho messo i piedi fino ad ora, e proseguo senza pormi troppe domande.
Come le ho più e più volte raccontato lavoro in una stanzetta tutta bianca, con le inferriate alla finestra, il cielo coperto da il dietro di un palazzo cinquecentesco, nemmeno un quadro alle pareti, ma carte, fatture, e conti ovunque. Un pc e non un mac, una stampante non a colori, una poltrona non di vera pelle. Un lavoro con un contratto che scade a dicembre. Cionondimeno resta questo quello che io ho chiamato sin dai primi giorni, il "mio lavoro benedetto". Che per quanto mi sia stato faticoso e impervio, per quanto mi sia mossa con una cautela e una fatica che ogni giorno, signora mia, era una fatica improba, a fare cose che non sapevo fare, a farle giuste e precise, a capire ciò che altri hanno costruito, quali regole regolavano il flusso e l'afflusso di soldi accompagnati da carte...; che se lei mi avesse visto signora mia, con quanta disperata tenacia mi sono attaccata a quelle carte, con quanta incoscienza ho preso in mano il telefono e ho chiamato il mondo intorno a me, con quale sfrontatezza ho affrontato i numeri e i più e i meno, con quale terrore sono spesso rotolata giù, in un fossato scivoloso dove credevo di essermi persa e invece no, ogni volta mi rialzavo che non era stato un mettere il piede in fallo, ma saltare verso un terrapieno. Che se lei mi avesse vista signora mia, quando più di una volta mi sono detta che era arrivato il momento di mollare tutto salutare e andarmene, ma sono rimasta ferma lì, che comunque prima di andare via si lascia ordine e pulizia e in ogni caso, ho pensato, finché non mi cacciano mi fermo ancora un'ora e poi vado... E dove era ordine, signora mia, ho portato scompiglio. Dove le cartelline erano appoggiate per comodità qui e lì, io le ho messe per colore qui e qui. Dove le carte della banca erano di volta in volta suddivise per banca e messe al loro posto, ora sono ammucchiate in una cartellina nera che si intitola Aquascutum, e riposte nelle loro pallide buste ora ornate di grandi scritte rosse, solo una volta alla settimana. Signora mia, dove il file di excel presentava tre colonne, con le diciture IMPORT- EUR- SCAD (come se scrivere per intero una parola fosse uno spreco), adesso ci sono finestre colorate, colonne che affiancano altre colonne, colori che attraversano impudici le caselle, sommatorie in neretto in grado di lampeggiare, parole, poche, ma parole complete in italico che timidamente si affacciano in mezzo al fragore dei numeri. Dove le fatture venivano archiviate e suddivise per genere in asfittiche buste di plastica, io le ho messe tutte nella cartellina color tortora della Hogan, e quando le porto alla segretaria le apro e le sfoglio e come un prestigiatore do lo spettacolo e le faccio volteggiare tra il raccoglitore Servizi e quello Merce. Poi faccio due mosse di Waka waka e torno nel mio studio.
Capisce signora mia, non è esattamente quello che dovrebbe fare una persona del mio rango e della mia istruzione, ma in ogni caso poiché dello scarico dell’IVA se Dio vuole non me ne devo occupare, mi concedo il lusso ogni tanto di un passo di danza con le segretarie.
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