Ah signora mia, sapesse... (2/3)
E già la vita sarebbe sufficientemente difficile e faticosa così, che già a casa ho due figli (una grazia divina signora mia, questo è vero, ma mi conceda di confessare che spesso le Grazie Divine hanno un prezzo intrinseco che andrebbe ben valutato in anticipo, potendolo fare), un cane (piccolo e pressochè calvo, ma bisognoso di uscire per le sue necessità almeno 3 volte al giorno, intenzionato a marcare in casa quello che ritiene il suo territorio con schizzatine che van ben pulite spesso), un padre e una madre che forse non sono stati il meglio che il mercato poteva offrire in quel momento ma evidentemente io avevo fretta di nascere e ho preso quel che c’era disponibile, una casa grande che
necessita di cure amorevoli e assistenza continua, un corpo fisico, il mio, che si ostina imperterrito a far crescere i peli senza alcuno scopo, accumulare onde di amorevole grasso sulla pancia, a non produrre il ciclo per parecchi mesi di seguito e poi improvvisamente risvegliarsi e rimettersi in carreggiata sperando di recuperare il tempo perduto per dieci giorni di fila.
Ah signora mia, se sapesse la fatica che si fa a condurre una vita così. Ma io so che lei sa, la vedo che annuisce, signora mia, e la vedo che pure sta per sollevare il suo dito indice e dirmi:- ha voluto cambiare la strada, cara lei…
È vero, è vero, signora mia, ho voluto cambiare la strada maestra e ho intrapreso il sentierino impervio, ben sapendo che non è nemmeno una scorciatoia. Vero è che mi lamentavo anche della vita piatta, in un abbattimento di emozioni che ora mi sconcerta.
Ma oggi, signora mia, le devo proprio dire che oggi è stato un turbinio tempestoso di emozioni, che mi hanno spossato e sbatacchiato, che ancora non mi è ben chiaro se mi hanno fatto prendere decisioni o meno, di sicuro il ritmo cardiaco del mio corpo quest’oggi è stato ben sollecitato e nonostante tutto ha resistito ( ma lo sa lei a quante sollecitazioni continue è in grado di resistere il mio cuore? Che mi stupisco io, che in tanti anni di spaventi e di gioie, di soprese e di desideri ancora sia in grado di accellerare e poi rallentare e riprendere il ritmo consueto: che lei mi dirà che la mia è stata una vita normale per parecchio tempo, e le do ragione, signora mia, ragione, se per normale pensiamo a una vita costruita sugli affetti, sulle premure e le carezze misurate, una vita normale sì, a tutti i costi una vita normale, ma mi scusi, ogni tanto mi perdo)
E dunque vengo al dunque, signora mia, che questa premessa le sarà sembrata inutile, ma donna di penna son io, e di parole, e se lei mi legge sappiamo che è perché lei non lo è da meno.
Stamane lavoravo dunque, e stranamente il mio capo, al quale ancora manca un nomignolo (cosa che so la indispettisce un poco, ma signora mia, ci vuole tempo anche per i nomignoli) e che quindi per comodità chiameremo XX pur essendo in studio non era ancora entrato da me. Il mio tavolo si era riempito di carte e di cartelline colorate, avevo la matita del Carro in mano con inciso il suo nome e cognome (gentile e unico omaggio dello studio), e un mucchio di conti da pagare, ma veramente un mucchio. E quindi sono lì, che sento che XX è arrivato, cammina ma non entra, arriva un paio di volte fino alla porta del magazzino che è di fianco alla mia, ma poi se ne va. Sento il portoncino dello studio che spesso di apre e spesso si chiude. Ma io sono concentrata: i tedeschi non hanno risposto alla mail di ieri e io vibro e anche un po’ temo il confronto con loro. Ma, signora mia, sono donna di classe io, e pago i conti, controllo i castelletti in banca, gli anticipi fatture in antoveneta e l’Iban nuovo di Giacchetti. Poi, verso mezzogiorno entra: passo felpato, gambe leggermente divaricate, petto in fuori, testa tonda, occhi azzurri, aria scura, entra, finge un sorriso e si pone di fianco a me, in piedi.
- prego prego, si sieda pure
scherzo io, e trascino la seggiolina di plastica trasparente, con lo schienale rigido e la seduta piccola (mi piacerebbe prenderlo colui che ha disegnato questa seggiolina e cercare di capire quale è stato il suo intento nel costruirla, che nemmeno lei, signora mia, che è così magra e minuta e così per bene quando si siede composta, ecco nemmeno lei ci starebbe bene su quella seggiolina). Eppure lui la prende, la trascina in avanti e ci si siede sopra. Poi mette le mani sulle carte che ho davanti. E io già tremo. E lui dice:
- Allora, da dove cominciamo?
- Beh, veramente non saprei... ti faccio vedere i conti?
Dico io, che non so bene da dove cominciare oggi, che ieri avevamo già definito quali pagamenti avrei fatto oggi, e siamo in attesa della lettera dei tedeschi che non arriva, e aspettiamo così. In verità, non so mai bene da dove cominciare, che qui mi pare un terreno fatto di buche mascherate, e a volte veramente scivolo giù, più spesso ruzzolo, poi mi raddrizzo ma intanto mi sporco sempre di fango... Mentre sono lì che rifletto, lui prende in mano uno dei fogli che io ho con tanto candore sparso sul tavolo, e naturalmente tra tutte è il sollecito dell’avvocato di quelle merde dell’Aces, e lui mi dice:
- e questo? Non ti avevo detto di pagarlo ieri?
Non so bene perché, ma a me gli uomini rabbiosi e che non sono rabbiosi con me per un qualche motivo palese di cui io possa comprendere la ragione, mi mettono sempre in difficoltà. Signora mia, lui seduto accanto a me, per nulla sorridente, con la lettera che cita " Secondo Sollecito" e il foglio che vibra nella sua mano e io che mi sento crocifissa lì, ah signora mia, è una esperienza che non le consiglio di fare. Ma facendo appello alla mia ormai consumata esperienza nel sapermi salvare la pelle in situazioni ben più tragiche, ho preso un bel respiro e fatto appello alla memoria (in cui peraltro sono fallace assai) e ho ricostruito la situazione contabile di Aces (nome in codice per I magazzini del sole, a sua volta nome in codice di una marca di abbigliamento, che qui non ci risparmiamo nulla in quanto a difficoltà). Nella ricostruzione che faccio dico:_ se vuoi vado a prendere il cartaceo di là-
-Uhm.
Grugnisce lui accennando di sì con la testa. Ciò mi mette ulteriormente in difficoltà, perché finchè sono seduta e con le gambe ben protette sotto la scrivania mi sento meglio, ma alzarmi, proprio oggi che ho la gonnellina blu finta spiegazzata che mi ha regalato una amica di Milano, e gli stivali con il tacco alto, e il maglioncino stretto che stamattina mi sono vista allo specchio e mi sono pure detta, -beh dai, non c’è male, puoi farcela- (che capirà, se non me lo dico da sola chi me lo deve dire? A fare cosa poi non si sa, ma forse intendevo a finire la giornata? ah chissà... ) ecco, signora mia, mi ha messo in difficoltà. Perché la gonna è corta e stretta, i tacchi sono alti e mi costringono a una camminata a larghe falcate e molto ritmiche, devo strisciare dietro la sua sedia e ritornare davanti alla sua sedia, cercando di proteggermi con il foglio e la fattura che gli porgo, beh signora mia, ce n’è abbastanza per accumulare circa un chilo in tossine sulla pancia. Lui prende la fattura, la guarda distratto, legge e tace, e io mi risiedo, riprendo il mio posto in plancia , mi sento più sicura e allungando la mano oltre il suo braccio con il mio dito indice puntato sulla fattura dico_:
-ecco vedi, l’ordine è del 25 ottobre, io il primo sollecito non l’ho mai ricevuto, a meno che io non l’abbia perso, ma secondo me questa è l’iniziativa di una segretaria, sai, magari una prassi normale…
e lui tace, e fissa con la testa bassa il foglio in cui , signora mia, io vedo che non vede nulla, ma dice:
- se tu dici che il primo sollecito non te lo ricordi, allora vuol dire che non l’hanno mandato. Paga sto cazzo di fattura da 3mila euro intanto, poi chiamali e spiegagli che…
e intanto armeggia con il cellulare, cerca il numero del rappresentante di Aces, ma non se lo ricorda il nome, e il cellulare invece di essere strumento di aiuto diventa un peso e io che mi sento lievemente in colpa perchè dovrei essere qui a risolvere i casini, dico
- guarda che parlo io con la segreteria di Aces, li chiamo io...
e mostro il foglio elettronico in cui mi sono costruita la mia rubrica di numeri di telefono (-No, non abbiamo una rubrica telefonica, se ci servono i numeri li cerchiamo sulle fatture- così aveva detto Anita, e invece adesso esiste, anzi ne esistono due, signora mia, che una l’ho fatta fare dalle ragazze di là e una è la mia, arricchita di nome, cellulari, a volte il codice iban, a volte una nota con un asterisco). Annuisce XX, posa la carta sul mucchio e dal mucchio ne pesca un’altra, e io muoio di nuovo, che non so cos’è, non so cosa mi chiederà, non so perché è lì. Ma proseguiamo il lavoro,
- ti faccio vedere le banche, e come avrei pensato di predisporre i pagamenti
(omissis: non lo leggerà nessuna mai delle persone che conosco, ma in ogni caso questa parte la sospendo. Il blog è mio e ci faccio quello che voglio. Oh yeah)
E lei adesso capirà come vibrava il mio cuore oggi, in un ritmo sparso, tra l’ardire e il tacere, incapace di pensare e argomentare, tant’è che ho preso la posta e ho iniziato a mettere in ordine le carte, anzichè occuparmi dei pagamenti. La mia mente necessitava di pausa e di raffreddamento giacché sono un'emotiva un po' provata dalla vita, ma ne verrò fuori, ne stia certa, che in qualche maniera ne verrò fuori. Viva.
Così, signora mia, che mentre sono lì e faccio il vuoto nel mio cervello, e gioco con le carte della banca come fossero scacciapensieri, vibra il mio cellulare e compare in grande il nome del Talebano, che mi disturba, non vorrei rispondere mi sa che sono guai, ma poi, signora mia, rispondo.
Ebbene signora mia, stupisco ancora di come il potere del Talebato domini ancora parte della mia vita psichica, e ritengo che in effetti, qualcosa ancora ho da sistemare con lui, se ogni volta che lo sento al telefono ho come una sensazione sgradevole, che pure, vogliamo dirlo? è stato mio marito per 20 anni e ho dormito con lui al mio fianco per 20 anni, non uno. Ma, signora mia con un‘aria che vuol sembrare mite e a me risuona come sprezzante, con una voce che desidera apparire allegra e a me pare falsa, mi chiede, così, a freddo, senza alcuna preparazione, se sono felice. Il no che esce dalla mia bocca è secco e asciutto, ma dentro di me un turbinio di emozioni che salgono e scendono, e la bestia dentro di me che si agita e grida: - chiudi la telefonata in faccia a sto cretino!-
Ma lei sa, signora mia, come noi brave ragazze siamo state bene abituate a rispondere come si deve a chi “come si deve” si comporta con noi. Quindi lascio che il mio no rimbombi tra me e lui, e lui ridacchia, si confonde, dice
– ah, mi dispiace speravo che stessi bene-
e lì, signora mia, entra in gioco la forza di volontà e credo anche la respirazione aiuti, assieme a una buona dose di tossine che si infilano nei tessuti e bloccano ogni tipo di risposta adeguata alla chiamata. Mi chiede poi, che l’uomo sa essere discreto e beneducato, ed è tanto bravo poverino, mi chiede con un tono quasi di umiltà, come se chiedesse un favore, mi chiede se può prendere i figli questa sera “che oggi è giovedì e io sono tornato ieri da Amsterdam”. Così, signora mia, corre veloce il pensiero a una possibile cena con il Semprequello, e a una sana scena di letto che per pudore non le racconto nei dettagli ma di cui mi solletico per un attimo il cervello in un crescere di endorfine buone mentre penso a certi odori e certe sensazioni nell’averlo stretto tra le mie gambe e con le sue braccia avvolte sulle mie spalle mentre mi entra e mi salva la vita e mi toglie il respiro e mi bacia sul collo e ... mi perdoni, mi sono persa ma che vuole, la carne è carne, e a me il sesso piace. La parte maschile di me, che vuole signora mia, credo sia proprio questa carnalità. Indubbiamente il Talebano mi reca involontariamente un attimo in cui il mio cuore scintilla, e salgo nella scala delle emozioni, mi perdo nelle sensazioni buone quando d’un tratto lui mi porta alla realtà ed esclama:
- e ricordati che il nove abbiamo il tribunale, alle 10.
- Alle dieci? Ma no, è alle 12.
Le endorfine buone, signora mia, spariscono in un attimo, il Talebano si altera, perde le staffe e inzia a dire che lui me lo aveva detto, che dobbiamo essere lì alle 10, che mi sono già dimenticata, che lui è sicurissimo, e ai miei deboli “ma a me avevi detto che”, contrappone un’alzata di scudi che pare una falange macedone in assetto da guerra, e io piombo giù nel circolo antico del “ehcchecavolo non ho capito, ha ragione lui” e nel ritmico “non litigare, cedi, non litigare, cedi, non litigare, cedi”, che essendo ritmico e costante ha un che di ossessivo, ma come lei bene mi insegna, noi siamo donne forti e queste sono bazzeccole della nostra vita che sappiamo affrontare cn leggerezza. – adesso controllo!- dice con fare intimidatorio mentre io penzolo tra il mio essere quello che sono ed essere quello che vorrei. Infine abbassa il capo, sospira e chiede sucsa, - sì, hai ragione, è alle 12- ma ormai il danno è fatto: le mani tremano, l’accumulo di non risposte ha raggiunto il limite, scendo dal picco e precipito giù mentre vedo che mi ero preparata alla guerra e invece lui ha abbassato gli scudi, era tutto finto, mi ha solo fatto prendere paura, ma la paura, signora mia, non è una bella cosa. Lascia strascichi da elaborare. Concordo con lui sull’orario dei ragazzi e chiudo la conversazione. Le mani però tremano, il fiato è un po’ corto, e ormai è l’una passata. Devo correre a casa per preparare il pranzo ai ragazzi.
(to be continued)
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