San Fiacrio e la vita strati - 1 di 2




la vita si presenta di solito in un unico strato liscio, la mattina, quando mi alzo e faccio la colazione, preparo il caffè, mi guardo sti capelli e mi dico che devo andare dal parrucchiere, mi ficco in doccia, e mi dico che mi voglio comprare un buon bagnoschiuma che questo è finito, mi asciugo e penso che mi devo rifare lo smalto alle unghie ma non adesso, che adesso vado al mio Lavoro Benedetto. So che la giornata scorrerà più o meno nella direzione consueta, come un rotolo di stoffa che il venditore ti svolge sopra il tavolo e ti fa vedere lungo disteso, mentre io penso all'effetto finale, che può fare, ma quella è la stoffa e quello è il colore di base.

Cosi stamattina ho fatto colazione con Figlio, e mi godo questi momenti in cui siamo io e lui, in silenzio in cucina, lui che pensa concentrato all'esame che dovrà dare a scuola, io che non dico niente ma gli faccio compagnia, il cane che gironzola intorno sapendo che un biscotto di sicuro gli cascherà in bocca. Abbiamo ripreso la vita in comune e l'aria in casa è distesa, che con Figlio e Figlia è arrivata anche l'aria fresca, il traffico e il frastuono della città, ma in casa si sta bene, i pranzi si prolungano che loro hanno voglia di chiacchierare, e con Figlio sono cominciate pure le discussioni sul fatto se il caso esiste o no ( il Caso, capisce signora mia, io e Figlio che discutiamo del Caso e del Libero Arbitrio, senza nessuno sguardo di sufficienza che si posa su di noi). Così mi vesto, faccio alzare Figlia che pigramente arriva in cucina ciondolando, mi bacia mentre lei odora di sonno e io già di vita (vestita truccata e profumata), do le raccomandazioni che ancora vanno date (il cane, leggi quelle pagine, fai spazio nella libreria e soprattutto, togli quello smalto per unghie dalla sala che te l'ho già detto ieri e il giorno prima di ieri - ah ma mamma, io ieri lo avevo tolto, poi l'ho riportato...- Togli lo smalto e il cotone e l'acetone, e la limetta, e il cestino con dentro gli smalti, e l'olio per le cuticole e la penna per la french, e gli adesivi, togli tutto!), un bacio veloce a Figlia, a Figlio no, - che mica vado in guerra mamma, torno a casa, io eh? torno torno- e io esco.

Il mio strato liscio di vita si è consolidato un poco in questi tre giorni in cui abbiamo ripreso i ritmi di casa, ma senza quella urgenza che mi ricordavo di avere addosso a giugno, quella necessità di correre, e fare, e non riuscire a fare. Ora la stoffa si srotola piano, plain, come direbbero in America, e io prendo la mia bicicletta nuova, ci monto su e pedalo mentre la città ha ripreso la sua di vita, le macchine corrono veloci, gli autisti hanno tutti un'aria corrucciata e io mentre pedalo penso che ho molte cose da fare oggi in ufficio. Entro nella mia stanza, alzo le tapparelle elettriche con la mano destra mentre con la sinistra schiaccio il pulsante arancione della spina multipla a cui sono attaccate tutte le devices che mi servono. Si illuminano tutte insieme, come un sospiro di sollievo, e forse così doveva aver sospirato Biancaneve, e non credo che mai più io sospirerò ancora così, ma insomma, a parte questo il computer, la calcolatrice, la stampante, la radio, il mouse e la tastiera si illuminano e lampeggiano, sfrigolando leggeri pronti a partire. Prima di sedermi sulla mia poltrona, sempre troppo bassa per il tavolo così alto e perciò piena di cuscini come se fossi una bambina, sto in piedi e controllo le carte del giorno prima, apro l'agenda e intanto immetto la password nel computer, dò un'occhiata al SOle24Ore del giorno prima e apro Outlook, apro Explorer e apro Skype. Poi mi siedo, e comincio a srotolare le mail, cercando di capire a che punto del gioco mi ero fermata ieri. Poi mi squilla il cellulare e io parlo con la Zarina.

E la vita della giornata si srotola bruscamente in un'altra direzione, e vado in uno strato più sotterraaneo, dove devo cercare di capire, con i pochi elementi a mia disposizione, chi sta veramente male, chi ha ragione e chi ha torto nelle proprie valutazioni, chi carica di problemi le questioni più smeplici, e nello sforzo di pulire dal sovrappiù la Zarina mi dice:- allora? che faccio?- .Dammi 5 minuti di tempo, ci rifletto e ti chiamo-, lei protesta ma io devo prendere tempo e lei si adegua. Rifletto nel silenzio, poi guardo l'orologio.

Improvvisamente sono in macchina: la strada scorre davanti a me veloce, tre corsie dense di macchine e di camion molto grandi. Corriamo tutti, veloci, sicuri, ciascuno con la propria meta, penso che quasi tutti stiano correndo verso Milano, qualcuno si fermerà a Verona, ma è verso Milano che vanno gli altri di solito. Siamo determinati, le ruote rotolano e io sono al volante della macchina dei miei che nemmeno so come mi ci sono trovata qui in mezzo. La strada è tempestata di tutor, il cielo è terso, il traffico intenso. Non è una strada facile questa, anche se è veloce. Meno male che ho buoni rapporti con i ragazzi dell'officina qui sotto: hanno preso la macchina, fatto il pieno, controllato le gomme e l'olio, mentre io parlavo al telefono con il Talebano il quale perplesso diceva:- ehm, ma c'è bisogno?-. Ah, signora mia, ... -Vainfiga- ho pensato, mentre lui faceva il difficile perché gli avevo lasciato i ragazzi a cui preparare il pranzo e la cena e lui invece aveva altri "impegni". - Ma c'è bisogno?- e io avevo chiuso la conversazione con un Sì maiuscolo seguito da un punto fermo. Avere poco tempo e dover arrivare all'essenziale permette di sfrondare molto nelle fatiche quotidiane. Sono in macchina e vado veloce, che il piede sinistro mi fa quasi male a tenerlo piegato, pronto sulla frizione, lo sposto e proseguo. Oggi è il 30 agosto, penso, metto la freccia e mi sposto sulla corsia di sinistra, oggi è San Fiacrio, un nome così strano non l'ho mai sentito, e sorrido e il pensiero si scioglie, e sento le mani rigide sul manubrio, i muscoli delle braccia tesi che salgono sulle spalle, perché, mi domando, perché mai devo trattenere lo sforzo, lascio, rimetto la freccia a destra e mi sposto di corsia, alla mia destra una lunga fila di camion, a sinistra automobili più o meno grosse, dietro di me la macchina del Carro, ma lui non c'è, che me ne frega, fanculo, capirai, bella figura che ci ha fatto con se stesso lui, lui di sicuro si vergogna di come si è comportato con me, e io corro, arrivo in un attimo a Verona, dove francesca arriva tutte le mattine e tutti i pomeriggi riparte, c'è un enorme centro commerciale, magari un giorno ci vado, quest'inverno voglio comprarmi un giaccone nuovo che il vecchio mi fa venire in mente quella merda del Talebano e il suo - ma c'è bisogno?- (della ceretta, del parrucchiere, del giaccone più costoso, del viaggio, delle scarpe, dello smalto sulle unghie, del vestito, del libro) fanculo lo odio, sto giro veramente lo odio, e mi viene in mente che era il 5 di agosto, giorno più o giorno in meno, che ero uscita dall'ufficio per andare a pranzo da una mia amica, e lui mi aveva chiamato e mi aveva fatto arrabbiare, veramente arrabbiare, e mentre io pedalavo sulla pista ciclabile di via Forcellini lui mi diceva in maniera pacata che lui aveva ragione e io torto, che lui era calmo e io incazzata, che lui non aveva nessuna intenzione di litigare con me mentre invece era chiaro che io non volevo essere ragionevole e lui non sapeva proprio spiegarsi il perché. Signora mia, era l'una del pomeriggio, il sole batteva tra gli alberi, io avevo il telefono stretto in mano ma nemmeno troppo che rischiava di scivolare,e ho incominciato ad urlare, sei una merda, sei una merda grande come una casa, e salivo la cunetta del marciapiede, ti odio, come cazzo ho fatto a sopportarti per 20 anni, e scendevo la cunetta della pista ciclabile, senza di me sei un deficiente, non sai nemmeno comportarti con i figli, coglione, sei un coglione, e giravo intorno a una macchina parcheggiata sulla pista ciclabile, non lo vedi quanto coglione sei a comportarti così? tu e quella troia della silvia e lui ha detto, lascia stare la silvia e io signora mia mi sono fermata. Una signora mi è passata accanto e mi ha guardato e io gli ho urlato nella cornetta del telefono: quanto coglione sei, che metti la figa davanti ai tuoi figli, anteponi un pezzo di merda che non è stato in grado di occuparsi dei suoi di figli,non so se ti rendi conto che li ha abbandonati quando erano piccoli, tu anteponi lei davanti ai tuoi figli. Non meriti un cazzo di quello che ho fatto io, non meriti un cazzo i tuoi figli e vedrai che non ti ci vorrà molto tempo prima che i tuoi figli se ne accorgano, basta che io non faccia nulla che tanto fai tutto da solo, sei un coglione e io sono più cogliona di te che per anni ti ho permesso di credere che sei intelligente. Stai sacrificando la serenità di tua figlia davanti a una stronza che non ha scrupoli, ti odio, testa di minchia che non sei altro, stavolta te lo dico io ti odio. E lui, signora mia, ha deglutito davanti alla mia rabbia, che la signora mi è passata di fianco e mi ha lanciato un'occhiata di comprensione che io volevo quasi dirle,- mi scusi sa, ma quando è ora di dire le cose bisogna dirle, ho sposato un deficiente e adesso è arrivato il momento di dirlo, che non è che siccome non si vuole litigare allora si sta sempre zitti, bisogna anche combattere, e difendersi-. Che è così, signora mia, litigare è faticoso, porta via energie, è dispersivo, rintuzza la lotta e ne genera altra ma ci sono momenti in cui tacere non vabene, bisogna sapersi difendere, in qualche maniera bisogna difendersi che mantenersi vivi non è sufficienti e si deve attaccare finalmente l'ho capito.

Ma menter io pensavo così lui dal fondo del telefono, con un filo di voce ha sussurrato: - ah, stavolta l'hai proprio fatta fuori dal vaso...- e sa, signora mia, un giorno le racconterò anche come è andata la faccenda di silvia e del Talebano, ma certo è che quel giorno di agosto, la bicicletta ferma a metà tra la pista ciclabile e la strada, il sole che passava tra le fronde degli alberi sopra di me, l'idea che Figlia erano giorni che piangeva dal mare che non voleva andare a fare le vacanze con il Talebano e lasilvia e lui che mi dice che io l'ho fatta fuori dal vaso io gli ho sibilato nel telefono: - Cheafiga, certo, ho tutto il diritto di farla fuori dal vaso e con questo chiudo la conversazione, sappi che non ti sopporto, che sei diventato vecchio, triste e povero, perché a parte qualunque tipo di parolacce io possa averti detto, la verità vera è che tu senza di me sei perso. La verità è che senza di me non sai più che cosa fare. La verità è che io sono un talismano e vale per te come per gli altri, io sono un talismano!- e aspettavo una risposta, un attacco ironico e una risata di sufficienza invece mi ha colpito il silenzio, come quando qualcuno ti squarcia un pezzo di una camicia e si scopre una parte di pelle, che era lì anche prima ma adesso è esposta e morbida e pulita. E io l'ho salutato e sono rimontata in bicicletta, gli occhi asciutti, finalmente le cose che dovevo dire erano state dette, che importa se a due anni di distanza, credevo di averle metabolizzate e invece no, stare zitti a volte paga ma a volte è veramente necessario parlare. Così signora mia, mentre guido penso a quella scena, che poi ho chiuso il cellulare e la signora era ancora lì, aveva le sporte della spesa in mano, le gambe grosse corte e un abito a fiori, e mi guardava e io le ho detto:- mi scusi- e lei non ha detto niente ma ha accennato un sorriso, ha posato le borse della spesa a terra e mi ha sorriso. Io sono rimontata e sono andata a pranzo e adesso sono qua, signora mia, con le macchine che sfrecciano, metto la freccia a sinistra, mi infilo tra auto veloci, io gli uomini li odio tutti, che sfiga che mi piacciano così tanto, ma mi piace molto anche la panna montata e però non è che me la mangio tutti giorni, e adesso ne faccio un bel mucchio di tutti questi uomini, metto la freccia a destra che lo svincolo per la Brescia-Piacenza è un po' sfuggente, mi infilo tra due camion e svolto, scivolo dietro a loro, e mi secca solo aver rivisto la Mappa delle stelle ed essermi un poco confusa, ma per fortuna lui non mi si fila di pezza, tanto non ci vediamo nemmeno mai, e io davvero, ma signora mia lo dico davvero, non è finzione letteraria, davvero non ne voglio sapere di altri uomini, e mi infilo sulla bretella a due corsie di marcia, un traffico meno caotico e più regolare, i camion a destra e le macchine a sinistra, e la campagna estiva ai lati, e io corro, vado e vado, che non mi pare nemmeno possibile che fossi in ufficio stamattina, e adesso invece sono qua, passo Ghedi e mi viene in mente il gioielliere che aveva così tanti anni più di me e che si era perdutamente innamorato di me, che peccato, mi dico signora mia, che peccato che non ci si riesca a trovare, ma adesso vado avanti, che in fondo è una chance rara anche questa, di muoversi mentre si sta in silenzio, che si sta seduti correndo, io vado e corro e vado avanti e oggi pensa un po' è il santo Fiacrio, patrono di vasai, giardinieri, ortolani, orticoltori, fioristi, cocchieri e, guarda un po', conducenti di taxi. Oggi vivo il mio secondo strato di vita, che mi hanno srotolato una stoffa diversa, che stava sotto a quella precedente e io vado. Prima di Alessandria metto la freccia a destra e giro, seguo la ampia curva e mi immetto sulla Ovada, tre gigantesche corsie in mezzo alle vallate, la strada che sale e si arriva sul Masone, - dove c'è sempre brutto tempo, bambina mia- mi diceva sempre il mio nonno quando ci passavamo sopra, e mi sa che oggi mi manca anche lui, che mi ricordo che una volta mi aveva portato al mare, eravamo partiti da Padova, mi aveva messo un cuscino sul sedile e mi aveva fatto viaggiare davanti, senza cinture ovviamente che le cinture non esistevano, aveva detto a mia madre che mi avrebbe fatto dormire dietro, e come eravamo partiti da casa mi aveva fatto scendere e salire davanti, e come se me lo ricordo io quel vuaggio, 8 ore o giù di lì, e io che mi sentivo così grande seduta davanti con il mio fantastico nonno pilota di stukas tedeschi, che ogni tanto ci fermavamo agli Autogrill, dove mai io ero stata, mi aveva portato a pranzo al ristorante mentre tutti gli altri andavano avanti, e poi, durante le soste, mi aveva sempre comprato qualcosa (mi ricordo sì, la bambolina di Pippi Calzelunghe con le due lunghissime gambe di stoffa, che mi ero messa sulle ginocchia, la lunga striscia di ciucci di zucchero da portare a mio fratello e a mia cugina, le collane di caramelle tonde e bucate infilate nell'elastico, che io andavo in giro con la collana di caramelle dolci e ogni tanto me ne mangiavo una). - Ma guarda che mangia come un lupo sta bambina!- aveva detto il nonno a mia mamma, e invece a casa erano dolori, che non mangiavo niente e a mia mamma le toccava anche farmi le punture che il Betotal lo vomitavo una volta sì e una no. Mi chiama il Maschio Alfa mentre sto scendendo dal Masone e svalico, mi fa piacere la premurosa attenzione, è il mio Lavoro Benedetto, e poi ricevo un sms dal Webber con cui oggi dovevo lavorare, e veloce sposto il corpo a destra e prendo la Ventimiglia, autostrada a due corsie strette, piena di gallerie dove corri che ti pare di sfiorare il cordolo altissimo del marciapiede a sinistra mentre superi a destra un camion, io corro sicura, non accellero nè freno, vado a una velocità costante, mi fermo a fare il pieno alla colonna del Servito, che è una vita nuova questa, rimonto in macchina e vado, sono da sola, da sola, ho silenzio intorno, ma ho una vita piena di cose è solo che sono in silenzio dentro, anche se ho tante parti della mia vita da scrivere ancora, non smetterò mai di scrivere, penso, e penso alla sua storia, signora mia, a quella sorella ribelle che si drogava, e penso alla mia adolescenza, e imposto la curva e tengo il volante fermo, che non ho bisogno di aggiustarla più, e io vado da sola, alla mia sinistra il mare a destra le aspre terre di Liguria, ho spostato i mobili a casa mia, ho montato le mensole, ho preso delle decisioni, non saranno le migliori possibili ma per ora va tutto benone e entro nella galleria ed esco dalla galleria, alterno sole accecante al buio, e il Lavoro Benedetto e la mia casa, ho persino un commercialista che mi prende così pochi soldi poveretto che non so nemmeno se ci paga i francobolli, e il funzionario della Credem che mi ha visto e ha pagato lui il mio F24, mentre io riprendevo la mia bicicletta e andavo a pedalare chissà verso dove, e passo Pietra Ligure, Borghetto Santo Spirito, Albenga, Alassio, Laiguelia, Andora, San Bartolomeo, Diano.

Quando finalmente arrivo la Zarina mi accoglie incredula: mi guarda stupita come se fosse quasi impossibile che io sia io, mi dice - oh? ma sei già qui? Ma come stai bene... Ma guarda un po'...- e il suo stupore si stempera nel sollievo del non sapersi da sola. Prendo un caffè, bevo, mi lavo la faccia, carico la macchina, prendo il papà e dico:- Dai, andiamo a casa.

E ripartiamo. Stavolta verso casa. Voglio andare a casa. A casa mia.

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