Questo groviglio mentre lui non vede


Ma si può sapere perché,

questo groviglio mentre lui non vede e non sente,

si può sapere perché ho un gomitolo nel cuore e un mantello sulle spalle...

Quando un giorno lui mi guardò che io non sapevo dove guardare, dove posare le mani e le avevo legate nel grembo, allacciandole una all'altra forte, che si fermassero e tacessero, mentre dentro di me da due giorni rotolavano le immagini di noi avvinghiati, e poi salivano creando un vortice, il vuoto, che io non so gli uomini cosa vogliono, pensi di averli conosciuti sentiti toccati palpati nel profondo e poi invece ti si girano contro, tacciono e scappano lontano, se ti va bene, e invece se ti va male si voltano e ti strappano il cuore a morsi, e i capelli a ciocche, e seminano distruzione spargendo sale sulle ferite che hanno aperto, e urlano anche, che hai sporcato dove non dovevi, non sei stata chiara, non avevi avvisato. Non capirò mai gli uomini io, nemmeno campassi 100 anni ancora.

Trattenevo il fiato allora, seduti al tavolino dove cameriere dagli occhi azzurri ci servivano sorridenti, dei sandwich per piacere, e acqua per piacere, mezza gasata e mezza no, e poi lui beveva la gasata e io ho sempre pensato che mi confondesse con la Badante, e chiudevo così nel silenzio con un altro nastro di ferro il mio cuore, perché lo sostenesse, ma sì, va bene una gasata e una naturale, non è questo l'importante, io lo so, lei chissà se sa, non dovrei essere qui ma non posso farne a meno, io bevo l'acqua gasata e lui anche, ma poi si tornava daccapo ordinava una gasata e una naturale, e io tacevo, allungavo la gasata con la naturale, e avevo smesso di dire che preferivo la gassata.

C'era rumore quel giorno, tanta gente nel locale per il pranzo, io avevo freddo, che una lama infuocata faceva strage da giorni dentro il mio cervello, fulminando ogni frase razionale e girando su quella immagine che si era formata nella mia mente, ma non era facile formulare, eppure era tempo ormai di dirglielo. Avevo provato via sms, convinta che anche per lui fosse un pensiero fisso come per me, un'idea che a tratti mi distoglieva persino dai numeri del mio lavoro Benedetto, e arrivava diritta al cuore, che la lama rovente girava su se stessa e puntava la punta in basso e violenta scendeva come un dolore acuto del quale per un attimo perdevo il controllo. Mentre mi affannavo silenziosa a trovare il modo di parlare, lui aveva detto:

- Non ho capito cosa mi hai scritto nell'sms.

Lì il cervello va in corto circuito: succede che hai bene in mente le cose che vuoi dire, sono tutte lì ben in fila, una lunga stringa di parole formate da lettere verdi-azzurre, che potresti quasi leggerle a voce alta se non fosse che come ti avvicini per pronunciarle queste si trasformano, e prendono la forma dei concetti e delle immagini, e tu non vedi più le parole ma solo le figure e come fai, dimmi come fai a mettere le figure in parole, le idee in parole, i concetti in parole, prova a descrivere un film a un cieco mentre lo guardi, è impossibile, prova tu a raccontare le scene che vedi che tanto non ci crede nessuno, che sono frutto della tua mente e non sono realtà, e il luogo in cui sei seduta non è quello giusto perché le immagini si comprimono e tornano ad essere parole mentre lui aspetta, ti guarda e aspetta che tu parli, il tempo passa e ti rendi conto che non hai articolato nemmeno una sillaba, e riguardi le immagini che hai in mente e queste con un enorme sforzo si trasformano di nuovo in lettere, una lunghissima stringa di lettere che come cerchi di afferrarla si comprime, le lettere sbattono una contro l'altra, si sovrappongono e tu resti così, con solo le lacrime agli occhi da ricacciare indietro che oltretutto sei in un bar pieno di gente, uno scombussolamento dentro di te, una battaglia persa, e l'inesorabile figura da cretina, il tempo passato in silenzio e nessuna parola da dire.

ah Dio mio, che fatica. Che finita la battaglia, sei ancora senza parole e non solo la domanda è rimasta sospesa sul tavolo, ma lui pure ti guarda incuriosito, sorride, ti viene da pensare che in effetti penserà che sono una scema, una che non riesce nemmeno a spiaccicare le parole, che ho scritto un sms che lui non ha capito, se non so parlare io come posso pensare che capisca lui? Come faccio? Le mani che scappano e lui che che le segue con sguardo, e tu che le riporti giù, che non mi fregate stupide che siete, devo arrivare a capire che uomo è, devo sapere se mi sono sbagliata così anche questa volta, devo capire.

Ancora la domanda che aleggia sulla tavola, ma lui tace: guarda e tace, non invade, non prende in giro, non commenta, aspetta, sorride e aspetta, forse ce la posso fare, e il cervello esce dal corto circuito in cui era precipitato e riparte, veloce, troppo veloce, le mani prendono il piatto e sostituiscono il mio con il suo, che tanto certamente non si mangia oggi, che la spada di fuoco ancora impazza e taglia e danneggia nel mio cervello tutto quello che incontra, e però sono io che voglio fare la domanda stavolta, sono io che devo chiedere, per fermare lo scempio che avviene nella mia mente e nel mio corpo, che lotta nel trattenere le lacrime che vorresti sfogarti così invece non succederà mai più, vorresti raccontare di più e non lo farai mai, ma questa cosa la devi sapere, e allora vaffanculo adesso parlo, prendi un bel sorso di acqua che aiuta a regolare il respiro e lo guardi negli occhi e chiedi:

- voglio sapere che cosa ne fai di quelle cose.

E lui sorpreso ride, leggero come un volo d'aquilone, chissà cosa si era aspettato che gli dicessi, si pulisce la bocca con il tovagliolo e mi guarda e ride, mi si allarga il cuore a vederlo ridere così, mi sollevo anche io, la spada smette di roteare, viene da ridere anche a me, scuote la testa che più ci pensa più gli viene da ridere, ma dopo un attimo di sollievo mi rendo conto che non mi ha risposto, voglio una risposta, che se non risponde allora è vero, lo sapevo, e la spada rotea violenta, l'emozione sale dalle viscere, odio questo posto, odio lui, odio me che mi sono messa nei guai con lui, e il mondo, la cameriera, non ne posso più, non mi ha risposto, cosa ne sarà di me, cammino e non imparo niente, sono morta un'altra volta, come farò ad alzarmi da questo tavolino?

- Te lo dico per l'ultima volta: quelle cose non esistono.

ed è così serio mentre lo dice, così fortemente sincero, che io smetto di cadere e improvvisamente riporto i piedi per terra, una terra salda, forte, che mi ha ascoltato e mi ha risposto, ha sentito che precipitavo e mi ha sollevato, e sento che le sue parole sono vere perché tutto si è fermato intorno, nel mio cervello tutto è tornato calmo e in ordine, la spada è sparita, la vita ha i confini che dovrebbe sempre avere, le lacrime non spingono più, il cuore ha ripreso il battito regolare, di tutto il disastro che avevo dentro di me non è rimasta più traccia.

- ma scusa, per farne che, poi...

dice lui, riprendendo a mangiare e scuotendo leggermente la testa, che ancora gli viene da ridere al pensiero della domanda che gli ho fatto, mentre escono le parole da me, che quelle che prima non uscivano escono ora tute insieme, ben concatenate, una collana di parole che aleggiavano nella mia testa:

- ah, non so mica io cosa siete capaci di fare voi uomini...

- Noi uomini! Un uomo, vorrai dire.

Così, finisce così che guarisci da una ferita e cadi nella malattia. Che le altre ti dicono che ti stai mettendo in un mare di guai, perché lui non c'è mai, non ti vuole, è un egoista, ti sfrutta, ti prende e ti molla, e tu pensi che non è quello il punto, ma il punto è il due e il tre, che tu odi il tre ma non puoi fare a meno del due, e scrivi, che per salvarti l'anima scrivi, per salvarti la vita scrivi, che non sai dove è iniziato il tutto, e cerchi la radice prima, quella scintilla che ti ha perduto, e non la trovi.

Che mai troverai la scintilla, perché c'è invece costruzione, e non ci credo, non ci credo che non era reciproca, non ci credo che lui non sentiva, non voleva, non poteva; e non me ne frega niente del perché adesso non c'è, non mi interessa quello che pensa lui, che ha pensato, che cosa vuole e cosa teme. Ora che io cammino e lui non c'è, che mi ha lasciato andare via... adesso io parlo per me, che persisto nel vivere il mio presente, violenta e irruenta che sono.

Adesso vale per me quello che voglio io, e io per me parlo, che non era il mio posto, non era come lo volevo io, non era quello che volevo io: che io volevo che mi riconoscesse, volevo che chiudesse gli occhi e si affidasse, che vedesse in me quello che lui era un giorno, prima di quando seduto a un tavolo nuziale si è sporto indietro e si è fatto fotografare così, già preoccupato, già immerso nel fango dei pensieri.

Non era così lui prima, io non lo conoscevo ma non era così. Volevo che mi riconoscesse, che nel mio sbatacchiare e invadere e rotolare riconoscesse quella parte di sé.

Volevo che mi donasse tutto quello che aveva: il suo giardino, il suo castello, i suoi soldati con le armi, le cucine sotterranee, le terre aride, gli arieti, il falco con cui andava a caccia. Volevo che mettesse tutto ai miei piedi, perché così è l'amore, un pretendere tutto, senza concessioni o barriere o limiti. Volevo che mi riempisse di doni e pensieri.

Volevo: e non ditemi che sono una visionaria, perché se non credete che questo sia l'unico modo di amare, allora significa che avete perso la passione, che vi accontentate, e chi si accontenta non pretende. Chi non pretende non sa amare.

Tutto volevo, tutto ciò che aveva, e tutto ciò che era.

Tanto poi nulla avrei toccato delle cose sue che lui non volesse toccare con me: nulla avrei portato via, arraffato, tolto. Che io conosco la fatica del fare.

Avrei raccolto i suoi doni posati a terra e glieli avrei restituiti più lucidi, forti, preziosi: che io so cosa vuole dire amare, essere coppia, credere e fidarsi. Lui se l'è solo dimenticato.

Adesso voi ditemi pure che ho sbagliato: che lui, come ha già fatto, ride delle mie parole, consola il suo sé in altri modi, nemmeno si è accorto che ero lì così vicina, che solo ha fatto un pezzo di strada con me, che era annoiato e solo e io disperata e affamata. Adesso voi ditemi che è come altri centomila, che ne conoscete le fattezze, ne prevedete le mosse, che gli uomini sono egoisti ed egocentrici, che prima di me mille altre donne e dopo di me altre mille arriveranno, che così sarà anche nel futuro e così sarebbe stato se ci fosse stato un due. Che non esiste la fedeltà, non l'amore, che la passione dura lo spazio di mesi e poi finisce, che gli interessi personali prevalgono sempre su quelli di coppia, che chi ha tradito una volta tradirà ancora. Ditemi che la vita sarebbe stata impossibile da gestire, affogata nel quotidiano vivere il proprio lavoro e i propri doveri, stritolata tra la famiglia e gli affetti, dove lui mai avrebbe abbandonato o modificato il ritmico scorrere delle sue giornate in cui il lavoro domina il cervello e condanna lo spirito (perché non si può davvero essere sempre così dannatamente schiavi del lavoro, che quando ci si dimentica che il lavoro è una benedizione ed è una costruzione e invece prevalgono i sospiri i doveri e le difficoltà, allora si è perso il senso del lavoro, il piacere del fare e costruire per il vivere, il lavoro come strumento di un vivere migliore, non come giogo sotto sui soccombere la sera, a fare i conti sul quadernino son la luce bianca della scrivania, il silenzio, nessuno a casa e ancora il sospiro nel cuore che tutto è fatica e caos da rimettere in ordine).

Ditemelo pure: che tanto io continuo a cercare che so che invece esiste il tutto, e io a furia di cercare vedrete che lo troverò, ancora lo troverò e saprò forse resistere di più, combattere di più, volere di più.



Sì, beh, spero di arrivarci viva, ovviamente.

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