Come il coma farmacologico


Non sono un medico, ma lo chiamano, io credo, coma farmacologico.

Quando i medici ti sedano e abbassano talmente il livello di coscienza per cui tu non pensi, non agisci, non decidi, ma prosegui nel cammino della tua vita così, continuando a restare viva senza esserlo veramente, in attesa che gli organi vitali, ricchi di tanta energia a disposizione, si rimettano, si aggiustino e guariscano, permettendo poi al corpo tutto di riprendere la vita, e possibilmente anche tutte le proprie funzioni vitali.

Credo sia questo lo stato in cui mi trovo io: coma farmacologico, pur senza prendere farmaci.

Ho ridotto molte delle funzioni attinenti alla mia vita, e ho riversato l'energia a fare altro. Peccato che questo abbia un prezzo.

Il prezzo maggiore è l'abbattimento delle emozioni, e soprattutto la sordità degli organi di senso.

Così, sebbene attorno a me accadano cose buone, le percepisco con la ragione ma non con il cuore, che quello è troppo preoccupato a sanare se stesso e a rimettersi in condizioni di sopravvivere.

Così avviene che la musica mi faccia stare bene ma non mi dia veramente gioia; che il lavoro marci in sordina senza darmi né troppe preoccupazioni né troppe soddisfazioni; che le soddisfazioni delle persone che mi stanno intorno non sono molto percepite da me, che consegno per esempio il catalogo fatto in casa per la prima volta e noto sorpresa, io per prima, la loro sorpresa, ma poi finisce lì, non porto niente con me se non un pezzetto di idea che ho fatto bene qualche cosa che a loro è piaciuta.

Avviene così che intorpidita, compri il mascarpone per fare il tiramisù, dimenticandomi del mio forno nuovo spaziale.

C'è da dire che nemmeno mi arrabbio: il regalo comprato per Semprequello ai primi di dicembre non è ancora arrivato, e quando oggi mi hanno chiamato quelli di Amazon per dirmi che me lo consegneranno domani non ho protestato. Meno male che ne ho presi due: così con uno ci gioco io.

Nemmeno mi sono arrabbiata quando lo Scienziato oggi ha chiamato per dirmi che il mio IBAN è cambiato e che nel versamento che mi farà toglie i 100 euro dei 200 del dentista di Figlia che lui ha pagato. Il vuoto della telefonata. Vuoto lui e la sua bilancia con cui misura il dare e l'avere, il suo falso senso di giustizia, la sua limitatezza d'animo e la sua povertà di spirito. Non ho sentito nemmeno male. Non ho forze da sprecare per combattere per 100 euro. Sono tutta proiettata nell'aumentare le mie risorse, non nel limitare le mie spese.

Devo dire però che ogni tanto ho dei moti di vitalità: come quando torno a casa e trovo tutto in ordine, perché la ragazza è veramente in gamba, autonoma e volonterosa. O come ieri quando mi sono messa a scrivere, che ho ripreso a scrivere e questa è sicuramente una cosa buona per me, e così ho pensato che quei capitoli segreti, di storie da non dire che avevo cominciato a scrivere per una ristrettissima cerchia di amiche (tre per la precisione) la riprenderò, e la pubblicherò nel blog (non in questo magari, no, che sono cose difficili da digerire quelle là, incomprensibili pure a me che le scrivo, e ci vuole chi le sappia leggere senza mettersi a ridere o prendermi in giro per le cose che ho scritto). Poi Ro me le correggerà lo stesso.

Ho pensato che sempre in quel luogo metterò il manoscritto: che dovrei riprenderlo in mano, aggiustarlo, eliminare le poesie, riprendere dei pezzi forse, chissà.

Poi è ripassato per di qua il cavaliere biondo, l'ho visto di sfuggita, da lontano, e non abbiamo chattato ma già il fatto che si ricordi di me è una cosa buona. Poi chissà, magari mercoledì lo vedo.

Non c'è altro: non penso. Non penso alla fatica, non penso alla solitudine, non all'abbandono, che sono parole che estraggo adesso dalla mia mente, ma che durante il giorno non mi appartengono. Vivo. Mi alzo al mattino e non penso, non programmo, ma concentro il mio pensiero sulle cose che devo fare al momento: il caffè, la colazione, il cane, i ragazzi, il pranzo, la bicicletta. Mi concentro sul fare. Non ho aspettative: tanto è vero che mollo il cellulare di qua e di là.

Sì, deve essere così il coma farmacologico, una generale mancanza di desiderio, una apatia emozionale che evita accuratamente ogni sollecitazione, una generale incapacità di agire in maniera attiva per modificare lo status quo, un tacere della coscienza per cercare di rigenerare i tessuti: forse per questo scrivo, per sentire la vita e non rinnegare le mie notti, i miei sospiri, il mio disperato aggrapparmi a lui e a ciò che rappresentava e che era, perché lui era, e sciocco lui che non ha voluto credermi, sciocco lui che non mi ha fatto domande, sciocco lui che ha avuto paura, sciocco lui che mi ha condotto nel sotterraneo in macchina, e ha fermato l'automobile, e io ho fermato il fiato, e immobile sono rimasta io e immobile lui, e oro avrei pagato io per capire cose gli passava per la testa, quali pensieri aveva lui mentre io ero allerta, e lui pensava e io avevo ancora il cervello in corto circuito (io mi odio quando il mio cervello fa così e si blocca e mi impedisce di agire e parlare, soprattutto di parlare), e lui ha abbassato il capo, e io non so quanto tempo sono rimasta ferma senza respirare, e ho pensato che si era arrabbiato con me, che avevo reso pubblica una foto, ho pensato che avevo messo parole che a lui non erano piaciute, a lui o a lei, ho pensato che avevo forse parlato e sbagliato e agito in modo sconsiderato seguendo il mio istinto, e ...

Che male.

Ok, sono ancora viva.

L'altra volta, se ci pensi, è stato peggio.

Commenti

Post più popolari