Il Pitti Uomo e Superkoars- Postfazione
e però c'è un però.
Mi domando se è vero che mi sono sbagliata, se hanno ragione loro che mi dicono che era ovvio che sarebbe finita così, che ho sbagliato a volere di più, che dovevo starmene tranquilla e godere di quello che avevo, che è già moltissimo rispetto a quello che hanno in molte. O almeno che hanno loro.
Mi domando anche se hanno ragione loro che mi dicono che lui è come tutti gli altri (e dove, ditemi dove sono tutti gli altri? che io davvero non li vedo, dove sono?), che una storia iniziata in quella maniera non poteva altro che finire male, oppure continuare in quella maniera per sempre. Dove io avrei avuto solo da guadagnare.
Mi domando se tutto di lui sarebbe stato così giusto per me, come appare ai miei occhi ora; i se invece non ci sarebbero state delusioni, aspettative non accolte, arrabbiature, incomprensioni, stanchezza.
Mi domando anche se sarei stata in grado di sostenere al lungo il confronto con lei o con le altre che ci sono state o che si possono affacciare: e in effetti mi sento male se penso a lei, io che al posto suo sarei morta di dolore, l'ho già detto da qualche parte, ma morta di dolore se avessi saputo, e chissà che invece io non sia stata davvero la causa della sua morte dentro, che magari lei davvero è stata male, davvero è morta pure lei, cosa ne so io, e io me ne sono fregata fino alla fine, l'ho accusata di essere assente, e dai, non si fa. Non si fa, davvero, ma anche qui ho cercato di salvare la mia pelle senza rendermi conto che danni facevo. Non mi piaccio, e non sono orgogliosa di questo. Forse anche per questo il mio passo è pesante: non mi sono piaciuta, per nulla. Francamente questa consapevolezza pesa.
Mi domando se mi sono veramente sbagliata così tanto, ho visto cose che non c'erano e costruito parole inesistenti, come castelli di sabbia che si disfano con il troppo sole; e non ho saputo riconoscere il vero dal falso, ho confuso i miei desideri con le sue esigenze, le mie necessità con quello che voleva lui.
Mi domando sì, cosa direbbe se leggesse tutto questo, cosa potrebbe mai pensare di me che pubblico le mie cose che riguardano lui, i suoi sorrisi e il suo inclinare la testa verso destra, le sue dita bianche che riconoscerei tra mille e potrei descriverle se non fosse che tra le mille potrebbero essere riconosciute, e almeno una parvenza di privacy (per lui, non per me) vorrei provare a mantenerla. Se lui leggesse veramente sarebbe furibondo: lo so, forse anche per questo scrivo, per dargli un alibi. ( e mi viene da pensare che forse gli farebbe bene essere furibondo? Non terribile , ma furibondo... chissà)
Mi domando se è meglio che io metta in fila le cose che non c'erano in quella storia, o quelle che non andavano bene, invece di sottolineare le cose che c'erano. Forse hanno ragione loro, e dovrei smetterla. Che lui non era tante cose che io avrei voluto e che non sarebbe mai più potuto diventare, che una vita spezzata in età adulta non si rimette a posto, non si cura e non guarisce. Ma cerca la sopravvivenza, vive della propria sicurezza materiale, controlla ciò che può controllare, e il resto lo abbandona, perché fa paura, può riportare al gorgo nero, alle ingiunzioni, al panico, alla fatica di ogni giorno, alla difesa dagli attacchi. Oddio, che male. Vivere delle proprie cose è più semplice. Naturalmente ha ragione lui.
Mi domando anche se invece la faccenda non è molto più semplice, questa è psicologia spicciola, roba da baraccone, è frutto della mia la solita ingenuità che non porta mai da nessuna parte e che è strutturata nel mio modo di pensare, insita nelle fibre del mio essere, che senza credere io non posso vivere. Per credere devo preservare la mia ingenuità.
E quindi oltre non vado.
Il Pitti mi ha insegnato molto: ho tante cose da fare e da imparare, e molte di più ne ho da scrivere, che ho cominciato una cosa ed è bene che io la finisca, quindi è facile che mi troviate meno spesso di qua.
La verità è una, e io me la tengo stretta: lui non ci crede forse, ma io mi sono innamorata. Lui non ha detto, ma io mi sono innamorata lo stesso. Lui non voleva, e nemmeno io volevo, che quando ho visto quanto era chiuso mi son detta che non volevo, no e no e poi no, ma poi non mi sono nemmeno fatta domande e ho proseguito il cammino.
Gli avevo scritto: io sono come l'acqua, prendo la forma che mi dai. Se tu metti le mani a coppa, io resto con te. Se decidi di aprirle io scivolo via. In qualche maniera lui ha aperto le mani, e io scivolo via, e però c'è un però.
Io non mi sono sbagliata, io non mi sono sbagliata, no: lui è esattamente quello che io ho visto.
Pensare a lui mi procura ancora un vuoto spinto dentro la pancia, che tende a farmi piegare su me stessa. Ma poi passerà. Io posso parlare per me, e per quello che ho visto: il resto non so.
Di sicuro, assieme al mio lavoro Benedetto, resta tra le cose migliori da salvare del 2010.
We could have it all.
(lascia che io canti ora, amore mio, lascia che io dica la parole che non ti ho mai detto, amore mio, lascia che io canti da sola, le mie parole sparse al vento, tradurrò la canzone per te e per me, che ho spazio dentro di me, tanto spazio, e vedrai che riuscirai a guardarmi ancora negli occhi, e io avrò lo sguardo limpido, vedrai, che quello che hai fatto per me è rimasto, per quello non temo di dirlo al mondo tutto, che quello che è stato è rimasto, e quindi grazie, dopo tutto grazie.)
Sappiatelo, sono io quella che canta al posto di Adele, guardatemi, sono io, sono io quella che fa vibrare i bicchieri al suono delle parole, sono io quella un po' pesante seduta in una stanza oscurata, dove i ricordi sono stati coperti, e la casa sta per essere abbandonata, e sono io che canto lo stesso mentre lui di nascosto spacca contro il muro le ceramiche preziose, e non si fa vedere, ma più ne rompe più forte io canto, così che comincia a ballare la mia anima, un 'anima leggera e aggraziata che danza sulla polvere che io stessa ho gettato dentro di me, e sono io che ballo fino a far alzare la temperatura, e arriva la febbre che brucia quello che potevamo costruire, quello che avremmo potuto essere, mentre sollevo l'ovatta in cui lui ha vissuto, e libero con le gambe alzate la forza della mia vita e del mio essere, e a causa delle mie parole l'acqua vibra, e la sua anima anche, e sono io quella che canta, e prima o poi mi alzerò da questa dannata sedia e andrò al sole e a lui resteranno i cocci, una casa vuota e la polvere che io ho alzato si poserà su di lui. Sono io che canto, e dopo un po', vedrai, riprenderò a cantare. E ogni volta che sentirà Adele che canta penserà a me. We could have it all. Quando non sentirà più male, saprà che io sono guarita.)
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