Domani vado al Pitti



Vi spiego l'abbondanza, a cui non sono abituata, che arriva e mi manca il fiato e si posa lieve e soffice su tutto quello che tocco.

è venerdì: sono seduta al mio tavolo nero nel mio ufficio con le due finestre. Lavoro, lavoro parecchio, faccio cose, che lunedì loro partono per andare a esporre al Pitti e ancora mancano moltissime cose. Manca il prezzario, manca il catalogo, manca la fattura della merce, manca la correzione alla nota di credito, manca tutto quello che io non so e che potrebbe loro servire da portare al Pitti. Sono nuova qui, non so cosa servirà. La Black è arrivata mercoledì. Giovedì era festa. Venerdì non volevo venire. Sono stanca, mi pesa il freddo, la bicicletta, l'inizio d'anno, le mille spese che devo fare, quella là che non paga la fattura di dicembre per il lavoro fatto con Umberto, il giaccone che mi fa schifo, il ciclo che è saltato (sai la novità), il cane da portare giù.

Ho perso la chiave del motorino della bici: come ho fatto non è dato saperlo, dal momento che ho messo la bici in garage e sono salita in casa, ma da qui a lì ho perso la chiave. Così ho preso la bicicletta che pesa come un Ciao, e l'ho portata da Luca, che ha avuto compassione di me e mi ha detto:

- Te la sistemo io, bellezza. Vai e torna tra due ore.

è venerdì e mi sono alzata e sono venuta a lavorare: ho troppe cose ancora da rifinire, ci sono i dettagli che sono da aggiustare, non mi va che vadano via così, quei due, al Pitti senza che io sia sicura che tutto sia a posto. Dalla riuscita della Black dipendono molte cose: è la prima volta che esponiamo al Pitti. Almeno che sia perfetto quello che posso fare io. Mi fermo. Decido che mi fermo per il pranzo in ufficio, visto che Figlia nel pomeriggio ha da fare e Figlio mi ha detto che sta studiando "finalmente in silenzio, mamma."

Questa mattina Gambelunghe è entrata nel mio studio, ha tentennato finché io le ho detto:

- dai, siediti qui e raccontami

e lei mi ha parlato dei suoi guai, sul lavoro e nella vita privata. Aveva torto sul lavoro, era arrabbiata ma aveva torto: le ho spiegato perché, e lei mi ha ascoltato attenta, la frangia lunga disegnata leggermente verso sinistra, le gambe così lunghe che se potesse se ne farebbe una treccia, le mani con lo smalto scuro, e io che mi domando se ero così bambina anche io a 20 anni. No, forse no. E' una ragazza sveglia, lo sappiamo tutti qui dentro: prova il contradittorio, spiega le sue ragioni ma poi annuisce, dice -ho capito, forse hai ragione- e torna di là, sgambettando con quei jeans che hanno la vita bassissima e mettono in mostra sempre una piccola porzione di fondo schiena, anche se lei mentre cammina se li tira su con entrambe le mani. Prima o poi romperà tutti i passanti della cintura, a forza di tirar su i pantaloni.

Io faccio le cose: ho tempo a disposizione per me, per riflettere e mettere a punto i dettagli, ma il prezzario è arrivato ora che sono le 12 un quarto, potrei fare tutto per l'una ma farei con troppa fretta. L'abbondanza di tempo: mi voglio distrarre un po' da questa inerzia, e vado in internet, a navigare un po'. Veramente è come dare da bere a una pianta assetata. Ho tempo per vedere il mondo, e questo mi risana. Entro nel sito del Pitti Woman, e girovago tra un link e l'altro: so che poi le idee verranno fuori. Ho il tempo a mia disposizione, e nessuno che mi fa fretta. Chiamo a casa e avviso la ragazza che mi fermo fuori a pranzo: - vabene - dice lei, e io penso che sto bene. Mentre chiudo la conversazione entra il Maschio Alfa, e viene a sedersi vicino a me, perché dobbiamo verificare i prezzi della Black, preparare il materiale, fare cose.

- sai, - dico io che il pensiero si è formulato nella mia mente ma esce in maniera spontanea, senza preavviso, senza essere prima valutato dalla mia ragione, e mentre parlo mi dico anche che cazzo fai! ma ormai è così, io ci provo e dico

- sai, mi piacerebbe venire a vedere il Pitti...

mi sento imbecille, adesso mi tocca dare anche la motivazione, che non si fanno le domande così senza dare una spiegazione del perché, inoltre non mi sono nemmeno preparata un discorso, e il perché è talmente semplice e banale che mi vergogno pure, ma insomma, ormai è fatta, e mentre raggruppo le carte e prendo di fianco a me la stampa dei prezzi dico

- che insomma, io vorrei imparare, e magari al Pitti vedo cose, e imparo, magari prendo un treno al mattino e poi torno la sera...

Ci sono le pause che constribuiscono a creare i recinti mentali, quelli in cui io mi do già la risposta al posto del mio interlocutore, e mi dico che in realtà che accidenti ci vado a fare al Pitti io, che non vado a vendere, non vado a comprare, al Pitti a vedere, che idea... adesso l'ho pure messo in difficoltà e dirmi di no non è mai facile...

- ah, ma io non osavo chiedertelo. Se ti fa piacere venire per me sarebbe una cosa ottima.

Questa è l'abbondanza, quando una ventata di aria nuova arriva e io ho visto davanti a me vestiti e lustrini e vetrine, e allestimenti, tutte le menti migliori della creatività internazionale sono tutte riunite lì, la moda, una delle prime voci di fatturato italiano, un vortice di menti che disegnano, osano, interpretano, propongono, e io ci vado, a camminare in quei corridoi lunghi, in mezzo a bella gente, con la mia macchina fotografica a imparare, e vedere, a immagazzinare idee. E' bastato dirlo. Un entusiasmo che è abbondanza, e allora oso, e dico anche, dopo aver dato un'occhiata di sfuggita a lui, dico

- Sai, anche Gambelunghe vorrebbe tanto venire, pensi che potrebbe venire con me?

è un po' troppo in effetti, un osare, ma se ho osato rischiare il no per me, tanto meglio posso osare che mi dica no per lei, e la risposta non esita ad arrivare, senza pause, dice lui:

- Eh beh, se viene anche lei allora potreste fermarvi a dormire a Firenze.

L'abbondanza care mie, questa è l'abbondanza che scorre, che arriva come un fiotto di luce gialla, due giorni a Firenze, due giorni, due giorni, e dico:

- Guarda, se tu lo dici a Gambelunghe scommetto che ti godi uno spettacolo non da poco, perché lei sarebbe strafelice di venire, era un desiderio che aveva da tanto tempo...

Sono passata nell'ufficio di Gambelunghe appena lui le aveva chiesto se voleva venire con me al Pitti e subito dopo le aveva chiesto di tirar fuori una fattura dell'anno scorso. Ero entrata e lei mi aveva lanciato un'occhiata disperata, che rideva ma non riusciva a trovare la fattura, l'emozione era tanta, si affannava allo schermo del computer con videate una dietro l'altra, cercando di mascherare l'emozione che si mescolava al panico nel non riuscire a trovare la fattura, lui alle sue spalle che si era anche stufato di vedere lei che cincischiava con il computer senza tirar fuori niente, io che ero entrata e poi uscita subito, che ero così felice per lei che camminavo sollevata da terra, ma lei lo era di più.

E' passato il weekend.

Vado al Pitti, domani vado al Pitti: non ho nulla da mettermi, e a tratti vorrei morire, che veramente ho dolore e sto ingrassando e non mi fa bene ingrassare così, vuol dire che non sto bene, oh Diomio voglio questa abbondanza, ma mi fa male, si posa su di me ed è come se nulla potesse scalfire lo strato spesso che mi avvolge: il coma farmacologico autoindotto, passerà ma intanto fa male, e io non posso farci niente, non posso farci niente... non posso...

Domani vado al Pitti: ho un'amica che mi ha chiamato in chat poco fa, mi ha detto che l'Aoristo non ce la fa, che piange ogni due per tre, che è schiavo delle convenzioni, della paura, dell'età.

Io penso all'abbondanza che voglio io: stamattina sistemavo le mie cose e pensavo anche che Ro sono giorni che non la vedo in chat, e lei mi chiama, mentre anche Gambelunghe mi chiama, e mentre dal mio vecchio ufficio mi chiamano per darmi delle fatture da sistemare, ma io rispondo al cellulare, che se Ro mi chiama di mattina vuol dire o che è una cosa grave o che è una telefonata di lavoro, quindi rispondo. Mi dice Ro:- sai, quella cosa dei vestiti , ecco , si può fare, possiamo trovare il modo di fare una joint.

Ha la voce afona, ma a me pare di aprire una porta, socchiuderla e intravvedere spazi vastissimi, mi chiede con chi deve parlare la sua collaboratrice, io non so, non so niente, non so nemmeno se questa idea può andar bene, adesso ho messo in moto parecchie ruote, accidenti, ma non puoi muoverne una se non hai prima mosso l'altra, e non è chiaro quale devo muovere per prima affinché gli ingranaggi funzionino e la macchina si muova, vado a istinto, e prendo tempo, mi manca il fiato, entra Gambelunghe con una telefonata urgente, mi vede al cellulare che è il mio personale, gira sui tacchi e va, e di là mi chiamano e io non posso certo mettere giù la telefonata, ma forse è meglio che me ne fotta e vado a priorità, per me adesso vale questa telefonata, e mi risiedo, e scrivo le cose che lei mi dice, le parole chiave che poi sennò mi dimentico:- co-branding, tempi ristretti, divisa, con chi faccio parlare?...

Poi saluto. Ok, l'idea mi pare buona, adesso devo sentire se piace anche a lui. Che è al Pitti. Non so se è il caso di chiamarlo, ma mentre lo penso ho già il telefono in mano e chiamo, che tanto starà per andare a pranzo anche lui, che infatti risponde alle domande che faccio io mentre tento di organizzare nella mia mente un discorso organico da fargli, discorso che non mi viene:

- sì sì, qui tutto bene.

- ...

- Dimmi.

Ecco, il tono è imperioso, le voci di sottofondo sono rumorose, forse c'è anche musica, mi sento la solita imbecille ma parlo, e racconto la telefonata. Dalla parte di là silenzio, lui non dice niente e io precipito giù. Credo di aver sbagliato qualcosa, forse non avevo capito cosa voleva lui, se sta così zitto vuol dire che non vabene, e mentre parlo la linea cade. Merda. Sono anni che lavora qua dentro, arrivo io e penso di portare roba nuova. Se non l'ha fatto prima un motivo ci sarà.

Giuro che sono sudata. Adesso aspetto che mi chiami lui. Si vede che non poteva sentire bene da lì, chiamerà da un posto migliore, dovrà pensare a quello che gli ho detto, forse in effetti non è stata una grande idea, e forse è piena di complicazioni, mi pare di vedere che non va bene, mi pare... Richiama. Io rispondo. Mi chiede di ripetere tutto perché non ha capito bene, "voglio capire bene cosa hai detto".

Ah Dio mio, mi tocca fare come a scuola, ripetere tutto per poi sentirmi dire che non va bene. Ok. Riprendo il discorso, mi manca la saliva, penso che forse se me ne stessi più fermina e più zitta (e sicuramente qualcuno direbbe: e se scrivessi di meno e almeno non pubblicassi nulla del tutto) sarebbe meglio, molto meglio, che le mie parole creano sempre un sacco di casino, ecco perché il Talebano ha fatto in modo che io non le usassi più. Ma insomma, se scrivo faccio casino perché scrivo, se parlo perché parlo e dico le cose senza pensarci, se taccio faccio casino lo stesso perché potrei parlare, e quando voglio parlare le parole non escono per questo scrivo, e via daccapo, che le parole scritte creano scombussolamento e arrabbiature e via così...come faccio io, mi dite come faccio?

Lui tace: io poso il gomito sulla scrivania, la cornetta tenuta con la destra, e con la mano sinistra mi passo la mano tra i capelli: sto male, devo rendermi conto che sto male. Perché cazzo non risponde?

- beh, hai fatto un colpo grosso.

Io non posso, non so se capite, ma io non posso fare quello che mi verrebbe da fare: ovvero credere che quello che ha detto è vero, godere e gridare felice, non posso proprio perché come mollo gli ormeggi mi metto a piangere e qui non si può, veramente non si può, ma la mia tensione è forte, provo a parlare, attaccata a quella cornetta, ma lui ripete questa frase più volte, e più la ripete più io sto male, perché non posso godere di questa frase, sto male, che mi succede, dannazione, che mi succede?

chiudo la conversazione che sono basita: Ro è stata una grande e io mi sento inondata di fiumi di miele e di abbondanza. Mi sembra che come tocco le cose queste si aggiustano, magicamente combaciano, si trovano interessi comuni e tutti ne traggono vantaggio. Questa è l'abbondanza.

Chiudo l'ufficio, prendo i biglietti del treno, la macchina fotografica, saluto tutti e vado a casa. Domani vado al Pitti.

Prendo la bicicletta, pedalo fino al Santo, entro in piazza, mi fermo, dico la solita formula al Santo - per il Gruppo senza nome, Sant'Antonio, dacci una mano- e finalmente la tensione si scioglie e mi viene da piangere.

vaffanculo: tiro su gli occhiali da sole, ficco giù il berretto, rimonto in bicicletta, pedalo e riparto. Piango, così che la tensione si scioglie e il coma autoindotto un po' bisogna anche forzarlo.

Oggi è 11 01 11.

Anzi meglio ancora: 11 1 11. Il Bagatto e la Forza. Gli inizi.

Siamo solo all'inizio di un anno che sarà grandioso. L'abbondanza. Delle cose e dei sentimenti.

Ve lo dico: stasera fa male, fa male da morire. Male da morire.

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