Le parole che io custodisco gelosamente.


Ci sono parole che modellano l'aria, escono da un foglio bianco, da una email per esempio, e si pongono graziose a disegnare curve luccicose di un azzurro intenso ma con un tracciato sottile, così come quando si guarda attraverso un vetro antico, così sottile pare quell'ampolla ed è solo il tratto azzurro intenso che dà spessore e leggerezza. Ci sono parole che mentre modellano l'aria si raggruppano vicine vicine e segnano un dosso, come un anfratto da cui si staglia un'ombra scura tendente al nero. E il nero è sempre così denso, così pericolosamente buio specie quando si tratta di contrapporlo all'etereo trasparente segnato da tratti cerulei.


Ci sono parole che si stagliano all'orizzonte della normalità, sorgono da un solido tracciato di terra chiara e pulita, una strada che è nella norma delle cose normali. Sono parole che oscurano improvvisamente la vista, perché si pongono tra noi e la strada, tra la strada e l'orizzonte, e danno corpo a una figura di donna pulita e luminosa, fatta di cristallo sottile, soffiata a mano da mano sapiente, battuta dal ferro quando ancora era palla incandescente, raffreddata dal soffio caldo del vasaio, sciolta e rimodellata con nuove incrostazioni, una palla incandescente che è più calda del fuoco incredibilmente appesa a un bastone di ferro cavo.

Ci sono parole che sanno dare forma a dolori antichi, e io le guardo queste parole, che anche io soffro dolori antichi e vorrei che fossero solo miei e di nessun altro, perché solo ascoltando quelli degli altri in parte rivivo i miei.

Ho visto oggi la costruzione mirabile fatta da queste parole, pulite, semplici, senza odio, senza dolore, senza recriminazione, senza giudizio: le ho viste arrivare nella mia posta e modellare nell'aria un tracciato uguale al mio, perché il dolore è sempre dolore, da qualunque parte venga, e il vuoto è sempre terribilmente vuoto, le lame sono taglienti sempre, che siano piccoli coltelli o katane rotonde o i bordi di un foglio di carta, e il male che si sente è sempre male, da qualunque parte provenga.



Ho guardato lo spettacolare risultato di queste parole, che in poche righe hanno delineato una vita,  creato gli anfratti pudicamente nascosti, lucidato le curve sinuose delle spalle, riempito di vita ciò che all'apparenza di oggi sembra vuoto e freddo.
E mi è venuta alla mente la lettera stessa che il Carro mi scrisse, quando con le sue parole illuminò se stesso a me, ponendosi in luce ampia, mostrandosi nudo a tratti, a parlare di sé e della sua vita, che le sue parole, come le tue, modellarono il vuoto tra me e lui, e io gli promisi che avrei avuto cura delle sue parole e lui però non capì.
E ho ammirato quelle  tue parole e quella preziosa costruzione, posta a metà tra me e l'orizzonte, su una strada che non è più una strada, ma un sentiero di erba robusta, di un verde intenso, che crea un morbido strato su cui posare i piedi.
Di questa pasta sono le tue parole.
Ti porto via con me, non aver paura, che l'amicizia tra donne è forte come l'amore tra uomo e donna.  E quello che ora ti pare che bruci in realtà ti plasma e ti dà forma, e dove ti pare che ci sia vuoto si fa invece spazio affinché tu possa rileggere quello che hai scritto e trovare in quelle parole che plasmano la verità delle tue ombre, lo spigolo acuto del vetro tagliato, l'azzurro ceruleo di un antico vaso.

Dentro di te, nelle tue parole, nella magistrale costruzione che hanno saputo creare e non fuori, non in un uomo, o in un altro uomo, o in quell'uomo lì e solo in quello. Non nelle mie parole, in quelle delle carte, delle amiche, dei saggi soloni che predicano la conoscenza e vivono il peccato (il peccato del tiepidume, della vita sopportata, delle scelte mantenute per codardia e non per coraggio, del fingere di credere e del credere per finta).


Fidati delle mie parole: che Dio è grande e tutto è fatto per il meglio.

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