Il caldo di fine agosto

non sopporto questo caldo, signora mia, mi rende pesante, cattiva, insofferente, appiccicosa e inerte.

Si posa denso e riporta il rumore schiantato di tapparelle che vengono abbassate in fretta in un pomeriggio di agosto: il sole fuori, la vita fuori, il mondo fuori.

QUesto caldo persistente mi fa deragliare dalla quiete e mi procura un senso di sporcizia. Lei no, vedo vedo. Lei è pulita e fresca, lei non suda, non è attaccata dalle zanzare, non è costretta da un respiro che si fa un po' più celere. Sarà forse questo ambiente così buio e fresco in cui abbiamo il nostro salottino.

io sono in grado di sostenere molte cose, molte molte, ma il caldo pesante, l'aria statica e greve, la mancanza di aria leggera che si muove di stanza in stanza e fa sbatacchiare le tende e sollevare i fogli dello spartito musicale, quello non lo sopporto.

Da ieri, sì, è da ieri che do di matto, con me stessa.

Ho parlato con mio papà ieri: ribadisce che l'albergo è veramente bello anche se il servizio non è gran chè, anche se la faccenda della vasca, messi tutti insieme in questa enorme vasca con l'acqua profumata, i massaggi e la musica è stata proprio una bella cosa. Peccato, dice, che ha dovuto passare tutta la notte ad aspettare quel tarlucco alla stazione.

gli ho detto io: non ti preoccupare papà, del tarlucco non ti preoccupare, ci vado io la prossima volta, anzi ci mando il Talebano, e sono contenta che tu stia benino lì, dai che tra poco vengo a prenderti e ti porto a casa.

Ma qui il caldo mi intorpidisce la mente, mi rende gonfie le dita, rugosa la pelle. Chissà se lo lasceranno uscire dall'ospedale.

Non riesco nemmeno a scrivere: mi rintano in camera e galleggio rincorata dall'aria condizionata. Poi esco, e piombo nel buco nero, come se il caldo fosse un enorme fauce di un animale che mi attende non appena apro la porta della stanza.

Io lo odio questo caldo, non lo sopporto, signora mia, mi rende pesante, cattiva, insofferente, appiccicosa e inerte. E mi viene in mente che J lo sapeva.