Agosto su di me.



Il mese di agosto ad agosto si posa su di me come un balsamo curativo, che nutre la pelle e la ripara daglia ttacchi esterni. Quest'anno poi non è nemmeno afoso, il caldo pare sano, la luce diretta ma non accecante come quella di qualche giornata di giugno, che costringe a cercare riparo per gli occhi che altrimenti senti come uno spillo nel cervello. Io ci sto bene nella mia città, ad agosto. La notte, quando è caldo, accendo il condizionatore, ma quest'anno per la maggior parte delle volte è stato sufficiente il ventilatore, che ronza con delle pause in modalità Natura, ovvero va e poi si ferma e poi riprende, girando la sua testa a destra e a sinistra, alto sul suo piedistallo nero un po' traballante che ha preso dei colpi l'anno scorso (che Figlio lo ha urtato una volta, io gli ho pestato il treppiede un'altra), ma nonostante tutto lui ronza, e io dal mio letto riesco a controllarlo con un piccolo telecomando. Un grande acquisto questo, fatto l'anno scorso, spendendo pochissimo davvero, che sono tornata a casa con due ventilatori e i ragazzi a dire: - Due?- e io, - Due. - che uno era per lo studio e uno per la sala.

Dicevo che agosto quest'anno si apre su mattine ricche di sole e di luce, che io mi alzo presto e ammiro le montagne lontane e l'essere in silenzio, che nemmeno la radio accendo più, tanto ho necessità di assorbire la luce e il silenzio: che poi, sa com'è, è del mio silenzio che ho bisogno, il silenzio che di solito invece é sommerso dal chiasso della vita degli altri che mi accompagna per tutta la giornata, ma non nelle giornate d'agosto, in paritcolar modo queste due settimane a cavallo dei Ferragosto festa di famiglia che per anni ho trascorso in pic-nic alla spiaggia con zii e cugini e amici e amici di amici, e poi per anni ho trascorso in picnic con altri amici, e i figli degli amici e gli amici degli amici con i loro figli e più passavano gli anni più le cose si facevano inutilmente complicate, finché ho detto basta anche a quello e nel giorno del 2011 in cui si festeggia l'assunzione della Madonna al Cielo, proprio mentre vengono agevolati i licenziamenti (ma solo nel privato mi sa, sennò avremmo sentito un gran casino più forte ancora se fosse stato per il pubblico impiego, che se l'immagina lei il Talebano a rischio licenziamento? e la Monica e la sua seggiolina di segretaria all'università?) ma dicevo signora mia, interessante questa coincidenza, l'Assunta in Cielo e il licenziato in terra, ma in fondo a me importa poco, che io sono una di quelle che non ha tutela alcuna, si diceva, un contratto a termine che scade a novembre e ancora mi sa che per molti versi sono una privilegiata, ma in ogni caso dicevo che mi alzo al mattino, il cane salta giù dalla poltrona, allunga le zampe a terra e sbadiglia stiracchiandosi che sembra la posa del Saluto al Sole, il Sun Salutation che facevo anche io anni fa quando armata delle mie videocassette americane facevo diligentemente Pilates sdraiata in sala e allungavo la schiena vertebra dopo vertebra finché anche i miei sforzi si sono vanificati tutti nella noia e nella incomprensione (-ma perché non vai in palestra ? Ma chi ti capisce a te? - le solite stupidaggini... - Mah! -ihihih... ma come sei messa?). Lei fa ginnastica? No? ah, strano, la vedo così tonica, magra, giusta, eh, no, io no invece, che corro corro e non dimagrisco, ma insomma, pazienza, ... ah, Yoga, sì conosco lo Yoga, ... quale dice? lei fa Yoga Bhakti , quello della meditazione ehm, ... ah capisco, ... tutti i giorni? E come fa ad andarci tutti i giorni? ... ah, un tutor, giusto, di solito si chiama personal trainer, ma certamente il suo è un tutor, ... ah , uno Yogi, mi scusi, eh anche io dovrei sì, lei ha ragione, dovrei prendermi un maestro, eheheheh mi fa ridere, un maestro tutto per me! Beh, sì, sì, ha ragione, è importatne ritagliarsi dei momenti propri, sì, ed è per questo forse che amo agosto nella mia città, che la mattina la mia bicicletta blu nuova rulla leggera sull'asfalto deserto, e sento gli ingranaggi ben oliati della catena che mordono gentilmente i dentelli del cambio, un frrr frrr continuo che se non fosse per il fatto che il mio iPod si è rotto e io non ho i soldi per ricomprarlo non potrei certo sentire il rumore della mia bicicletta nuova, che sale sul cavalcavia deserto, mi spinge lieve appena sostenuta dalle mie pedalate, e scivola veloce giù dal cavalcavia, che oggi era talmente deserto che non ho preso la pista ciclabile ma sono andata sulla strada, e via, mi sono tolta il cappellino per paura che volasse via e ho pedalato veloce veloce in discesa, e il semaforo era diventato arancione e sarebbe stato bene che io frenassi con prudenza, che insomma, sono una madre di due figli di cui uno di 17 anni, e se proprio devo dirlo, se vedessi Figlio fare una cosa del genere mi arrabbierei da morire, e così ho accelerato, signora mia, ho abbassato il torace per dare meno chance all'aria di frenarmi, e ho pedalato come più potevo con la faccia vicina al manubrio e il semaforo è diventato rosso e io sono passata dritta lo stesso, la gonna che sbatacchiava all'aria calda delle 9 e un quarto di mattina, 5 colonne di marcia in viale Codalunga inutilmente larghe, e via, sulla cunetta del passo pedonale, che gli altri semafori erano rossi lo stesso e io li ho fatti tutti, uno dietro l'altro, con una gran voglia di urlare e di fare e di ridere. Poi sa, sono arrivata in via Dante e mi sono data un contegno, che è inutile che io mi vesta e mi trucchi se poi arrivo al Lavoro Benedetto che sembra abbia fatto la Millemiglia e abbia 14 anni.

Sì, mio papà sta male, molto male, signora mia, è ricoverato lontano, e stavolta sì che mia madre telefona e sì che io ascolto e quando non chiama lei chiamo io. Il silenzio della mia casa signora mia mi serve, che sto cercando di preparare strati di ovatta cosicché io possa attutire il colpo; nel silenzio io scrivo, e ancora progetto cose, oltre alla barchetta che sta andando nel Nuovo Mondo, anche altre, che mi ostino a volere lanciare il mio sguardo davanti, sempre davanti, e così sto progettando cose, nessuna veramente da sola, che adesso che ho incontrato Candida e ne è nata una amicizia che pare così bella signora mia, così liscia e priva di intoppi, lei così Candida e io così... così... uff, e poi, signora mia, ho recuperato un'altra amica, che ci vado in piscina domani, e la porto alle Preistoriche "a spendere un mucchio di soldi", così le ha detto il Talebano di turno, e lei ci viene lo stesso, che lei ha avuto la pazienza di aspettare i miei tempi e nonostante i miei no affannosi lei ancora mi ha telefonato e chiamato, e ascoltato e poi abbiamo riso che lei è stufa ma felice, non so se lei sa quanto è felice, mentre invece io sono... sono così... così...

Signora mia, mi sa che non sono pronta ad affrontare la partenza di mio padre.


Due volte l'anno io e la zia, aiutate dalla domestica, facevamo il cambio degli armadi. Le camicette venivano aperte e controllate: bottoni, cuciture, polsini. Quelle che non erano perfette venivano valutate attentamente. Ad alcune si provvedeva a girare il collo, oppure i polsini. Altre venivano messe nelle scatole con le veline bianche e riposte negli armadi. Quelle che si decideva che non andavano più bene venivano messe da parte: le avrebbe portate via la domestica. Gli abiti da sera e i vestitini venivano riposti con cura appesi, due in un sacco di stoffa. I cappotti e le pellicce e i colli di volpe venivano esposti al sole un paio di giorni: poi la domestica li sbatteva e li riponeva appesi nell'armadio, chiusi nelle buste di plastica. Non gli abiti con le pajette però; poiché la luce rovinava le pajette andavano chiusi nelle buste di stoffa. La zia voleva che facessimo questo lavoro anche con la biancheria. Ogni sei mesi circa vuotavo i miei cassetti, buttavo la biancheria intima che non era perfetta, facevo la lista di ciò che mi mancava. Poi toccava alle borse: ogni borsa veniva controllata, vuotata di tutto il contenuto, ripulita e spazzolata, riempita e gonfiata di carta e palline di canfora bianca. Alcune, che erano da sistemare, venivano messe in una borsa più grande, e la domestica le portava dal calzolaio. Mentre io e la zia facevamo il faticoso lavoro di cernita, la ragazza puliva a fondo gli armadi, che avevano uno schienale forte di legno massiccio ricoperto di carta di Varese, di solito con i gigliucci rossi su fondo crema. Lei saliva sulla scala e io guardavo i suoi polpacci un po' grossi che finivano nascosti nel buio della veste da casa (resistente cotone ritorto a righine sottili rosse e bianche, con il grembiule bianco sopra quando era in cucina, blu tendente al turchese quando faceva i lavori pesanti, come le tende o i tappeti o la pulizia degli armadi). Questo era con la stagione appena conclusa. Per la stagione che invece andavamo ad affrontare, molti dei vestiti venivano portati in lavanderia. Era una cosa che facevamo io e la zia questa: mia sorella non ne voleva sapere, diceva che lei andava benissimo così, un solo paio di jeans, quelli che aveva addosso e una t-shirt della Fruit of the Loom. Io e la zia facevamo lo stesso il cambio, anche del suo armadio. La zia diceva che era importante avere cura della propria persona, e che lei non aveva nessuna intenzione di sentirsi responsabile per la sciatteria di mia sorella. Con un gesso da sarta facevamo una croce sotto le scarpe che venivano riposte, con il fermascarpe dentro e imbottite di carta di giornale per tenerle in forma. La croce serviva per rendersi conto quante stagioni quelle scarpe stavano ferme nell'armadio: a volte trovavamo anche 4 croci. Io stavo bene con la zia. Quando, dopo due giorni, avevamo finito il lavoro, andavamo al Diavolo Rosa, e la zia mi comprava sempre almeno un vestito nuovo. Io stavo bene con la zia.

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