Un fil rouge, signora mia.


Un file rouge, signora mia, che si arrotola e si srotola lungo tutta la mia vita. Che passa attraverso dei nodi e che spesso sembra illogico e ingiusto, ma non c’è nulla di ingiusto nella vita, perché non credo che la vita faccia lo sforzo di dare giudizi morali morali su quello che 


(omissis)

E mi dispiace, mi dispiace moltissimo, ma il colpo è stato grave e feroce e una parte di me ha cominciato a rotolare, mentre prendevo il caffè e dicevo:
-       per me è un casino.
In realtà è un casino per tutti e per chiunque perdere il lavoro, perché il lavoro è una parte importante della nostra vita, dà un’identità precisa, ti veste di un ruolo e ti permette di progettare un futuro, fosse anche un futuro di qualche mese, che per una come me che vive il presente è già parecchio.
Così nella grande nave siamo precipitate in tre, e il criterio è quella che costa di più, quella che produce effettivamente di meno ovvero non serve, quella che è arrivata per ultima.



Il resto sono mere considerazioni affettive che  (omissis)


Sa signora mia, non posso raccontarle oltre, che ho rispetto di Base Luna e di Soldato Jane, e vedo molte più cose di ciò che possono vedere loro, ma non mi fido della gente maligna e il mio salottino è aperto: ma le dirò come mi sento io, con questo senso di lutto in casa, una perdita dolorosa a cui però non ci si può fare più nulla, e a parte il dolore iniziale poi ti accorgi che ti viene anche fame oppure sonno, e sai che invece dovresti forse morire anche tu assieme alla persona che hai perso, ma invece la fame si fa sentire e qualcosa tocca mangiare, e il sonno si posa sulle spalle e sarebbe il caso di buttarsi a letto a dormire, che è così di sollievo riposare nelle lenzuola pulite, e senti però che forse dovresti soffrire, ma invece chiudi gli occhi e dormi.

 E se racconti di te, del licenziamento, tutti si preoccupano intorno e tu sei improvvisamente dalla parte sbagliata della barricata, che vedi negli occhi degli altri l’orrore per il fatto che tu hai perso il lavoro e sei lì, in piedi, come cazzo fai, non piangi, non muori, non so come farei io al tuo posto, è una cosa terribile, hai già trovato? E adesso che fai? E domani che farai? non troverai posto da nessuna altra parte, c’è la crisi, è la colpa della Fornero e di Monti, e ci mandano tutti in rovina, è la colpa dell’euro, della Cina, del Maschio Alfa, delle Fiamme Gialle, sti quattro bastardi che ci dannano di tasse, per non parlar delle banche, oh povera te, come farai?

E poi scappano, si voltano e scappano, che non sanno che dire, mentre tu resti lì, un po’ tramortita e pensi che in fondo un lavoro da qualche parte lo troverò, in fondo mica sono un’assassina, solo che cambiano le cose, i posti e i luoghi, e cambierò anche lavoro, mi inventerò qualcosa, ma certo non subito, sai me lo ha detto stamattina, non mi sono ancora chiari i dettagli, non ho mica ancora mandato in giro il cv, devo ancora capire perchè mentre cammino mi sento rotolare, una sensazione di estraneità al mio corpo, una doppiezza che non mi aspettavo, e cammino per andare a prendere il tram,  sono quella di stamattina no? Eppure tutto rotola, che pensi ai figli, al mutuo, ai genitori, alle vacanze che avevi progettato di fare, a come lo dirai a tuo marito a tua madre a tuo padre a tua moglie, a come ti senti improvvisamente improduttivo e inefficiente, inutile ecco, assolutamente inutile. Ma poi pensi che magari no, magari troverò qualcosa di meglio, chissà, adesso riprendo le fila del discorso e ci penso un attimo, aspetta che arrivo a casa e riordino le idee.

 
E trovi per la strada chi invece si preoccupa per te, e posa la mano sul tuo braccio e dice ancora, con gli occhi sgranati: oh? E come farai? E hai già trovato lavoro? O povera te, che disastro, è colpa della Cina, della Fornero di Monti e via così...

E porcatroia, signora mia, no eh?
Porcatroia.
Io cammino fino a casa, porto Figlia dalla pediatra, 7 centimetri in 6 mesi, è una bella ragazzina, la pediatra la misura e loro ridono e sorridono, e io penso che magari me ne vado all’estero, se questo paese non mi vuole magari impacchetto Figlia e me la porto via, potrebbe anche essere una esperienza mica male, e loro intanto ridacchiano complici, che la pancia fa male ma è l’influenza intestinale e niente più, e io sono seduta sulla sedia e intanto il mio mondo rotola, fuori è freddino e piove, dentro nello studio ci sono oggettini orrendi che ricordano bambini piccoli, io non ne posso più di bambini piccoli, delle loro faccette serene e sorridenti, del moccico che cola, delle coliche, dei pericoli in cui si mettono, della febbre, del vomito, del bisogno impellente di stare con la mamma, e la pediatra misura Figlia mentre io rotolo rovinosa e mi do un contegno che non è mica male, mi hanno licenziato ma insomma diamo priorità alle cose importanti, che i figli sono una cosa importante e adesso anzi arriva a casa anche Figlio, e in fondo mica è morto nessuno.

Mica  è morto nessuno- mi dice la chat dall’altra parte- mi raccomando, Superkoars, non fare confusione, mi raccomando.
E ok, non è morto nessuno però porca troia porca troia, io resto salda qui tranquillamente seduta, e ho preparato da pranzo perché questo è il ruolo della madre, dare da mangiare e allevare i figli, e intanto continuo a rotolare, porca troia non riesco a capire niente e se io non riesco a capire niente è meglio che io non faccia niente.

Non faccio domande, non mi do risposte, lavoro frenetica su Pinterest, Twitter, Google+, Goemon Ishikawa mi ha riempito di cose da leggere, mi chiama ignara Candida e mi chiede se posso andare a cena con lei e con delle persone che vorrebbero fare delle cose e io dico ok, sebbene in banca abbia all’incirca 350 euro, 120 le dovrò dare al ginecologo che ho finalmente prenotato dopo mesi di amenorrea da stress, ma ci vado ugualmente alla “cena di lavoro” anche se so già che non se ne caverà un ragno dal buco. Sono abbastanza smagata da sapere che sarà una serata interessante dal punto di vista umano se va bene, ma per il resto non se ne caverà un ragno dal buco.
Ma non faccio domande, e dove mi chiamano vado, secondo il principio che seguo da ormai un anno, e perciò andrò.
E poi scrivo, signora mia, scrivo in maniera quasi compulsiva, ovvero con una spinta urgente a scrivere, come se scrivere mi liberasse dalla mia falsa doppia vita quotidiana (metà ferma e metà che rotola) e scrivo, e scriverò un giorno per bene anche di Base Luna e degli altri, del Fajano e dell’idea che ha del limbo, di Gioia di Vivere in fiera a Milano,  ma intanto scrivo e progetto e scrivo. Che prima di arrivare qui in fondo ho aperto e scritto altre pagine, e per ognuna avrei potuto continuare ma non si può continuare, che è un luogo pubblico questo e ci vuole pudore, prima di tutto pudore.

Poi, dopo, scrivere.
Porcatroia.
Scrivere. 

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