La betulla e il re. Storie per un'incomprensibile follia.



C'era una volta una betulla che se ne stava docile e tranquilla a crescere mentre il suo fusto agile si alzava verso il cielo. Improvvisamente fu colpita da una tempesta terribile, che aveva fatto straripare un fiume e grandine e acqua e terra e buio cadevano da tutti i luoghi e non vi era riparo alcuno. La betulla cercò salvezza piegandosi al vento senza ostacolarlo, e ficcando le radici nella terra più profonda. Dicevano le rane intorno a lei:- Che fai... scappa scappa, la terra frana, fatti trascinare giù a valle, lì non soffia il vento, lì non cade la pioggia, lì si sta bene. Allenta la presa e vieni giù...

Ma non c'era nulla da fare: la betulla se ne stava piantata lì, ostinatamente intenta a ficcare le radici sempre più giù nella terra bromba di acqua, mentre il vento le sferzava i rami e strappava le foglie. Poi, così come era venuta, la tempesta se ne andò via e tutto tacque, ma intorno era solo fango, e il paesaggio era completamente cambiato: la corrente del fiume che aveva esondato aveva trascinato via con se' tutto il possibile. E nella piana fangosa era rimasta solo la betulla.

La betulla si scosse un po' di acqua dalle chiome, aprì gli occhi e si guardò intorno e vide accanto al tronco una botte di legno. Curiosa come sempre la betulla invece di preoccuparsi di sistemare le proprie vistose mancanze si chinò e aprì il coperchio della botte. 

Vi era dentro un re, con un grande mantello rosso che le disse:
- Chiudi chiudi! Che apri? Che vuoi? Chiudi chiudi!- 
E rise tanto la betulla, felice di trovare qualcuno ancora vivo e chiese:
- Scusa, ma tu chi sei?
- Nessuno, non sono nessuno io! Chiudi chiudi!
Ma la betulla vide il mantello rosso che lo avvolgeva, che era di lana soffice e preziosa, velluto da un lato e lana dall'altro, bordato di ermellino, leggero eppure consistente e capì che lui era un re, e non era vero che non era nessuno.

Ancora rise di cuore la betulla, nel vedere un re chiuso in una botte. Gli fece un gran inchino e ostinata gli disse:
- Ehi, Vostra maestà, ma guardi che fuori la pioggia è finita...
Il re si era girato sdegnoso dentro la propria botte offrendole le spalle.
- Non è finito nulla, non finisce mai nulla qua. Io sono il re, io so le cose che succedono. Io avevo un regno un giorno lontano, sono stato disattento e l'ho perso, che è arrivata la peste e l'ha travolto, portato via in maniera irreparabile, che era un regno delicato, ma io ero un giovane re. Chiudi chiudi!


- Ehi, Vostra maestà, se lei alza gli occhi può vedere il cielo, che deve essere scomodo vivere dentro una botte anche se avvolti nel prezioso mantello.
Il re aveva allora alzato il viso al cielo ma dal basso della sua botte aveva solo potuto vedere la chioma malconcia della betulla, e le foglie strappate, qualche ramo rotto, e poiché la betulla gli stava sopra china si di lui a guardarlo incredula, dalla chioma ancora cadevano gocce di pioggia dai rami bagnati.
- Piove piove, chiudi chiudi!
Ordinò il re, e la betulla stordita dall'urlo impetuoso posò con delicatezza il coperchio sulla botte, e stette a guardare dalla fessura il re, che avvolto nel proprio mantello girava intorno indaffarato e faceva cose con le mani, e scriveva, e sbuffava, protetto com'era dalla sua botte.
- Sua Maestà, che fa? Che dice? Che scrive?
- Sono molto impegnato, - tuonò il re dall'interno della botte- ho le cose del regno da fare, problemi da sistemare. Dentro la botte se non si fa attenzione si perde tutto, e io devo controllare che le assi siano ben serrate l'una all'altra, dove c'è bisogno le devo rinforzare, e devo chiudere le piccole falle che la tempesta può provocare. Sono molto impegnato.
La betulla restò ancora china sulla botte, e poi disse:
- Vostra Maestà, aprite il coperchio lo stesso, potrei farvi ombra io. Infondo vi siete posato sulle mie radici, il mio tronco ha fermato la vostra corsa, sennò andavate avanti a ruzzolare...
- Ti ho detto di non seccare! Il mio era un rotolare programmato, che è impossibile vivere il regno, che due volte l'ho perduto la prima per ignavia e la seconda per debolezza. Ora non credo che mi fermerò ancora, che la botte è malconcia, devo ripararla assolutamente. Ti assicuro, tornerà la pioggia e ci separerà per sempre.
- Ignavia?- Chiese stupita la betulla mentre guardava il re che aveva sollevato con il capo il coperchio della botte e la fissava con i suoi piccoli occhi scuri. 
- Ignavia, sì, e debolezza sì. E adesso basta, devo andare, devo fare, scrivere e contare, non posso restare a guardare una betulla di cui il tempo ha fatto scempio. Sarebbe meglio che anche tu ti trovassi un riparo sicuro. Guardati come sei stracciata, la tua corteccia è corrosa, le fronde rade, i rami mezzi rotti. Vedi di sistemarti, che mica puoi vivere così, con le radici ficcate in un terreno fangoso, in mezzo a questo deserto di poltiglia. Ti assicuro che pioverà ancora.

E richiuse il coperchio il re, che aveva mille cose da fare, e borbottava tra sé e sé - ignavia, ignavia, cosa mi torna alla mente... ignavia tze! ovvero mancanza di volontà morale, e di forza, ah l'ignavia! - il coperchio si chiuse con un colpo secco e senza aspettare risposta, e la betulla stupì, che un rumore così brusco facesse tanto vento e potesse scompigliarle un poco le foglie.

La betulla però che era stupida ma sapeva ascoltare le parole, cercò di fare tesoro delle parole del re e fu così che si guardò attentamente e notò che il re aveva davvero ragione: lei era tutta malridotta, ma altro non poteva fare che ficcare le radici sempre più in fondo e la chioma sempre più in alto. 

Passarono in silenzio alcune ore in cui il re faceva e scriveva e risolveva problemi e la betulla stava dritta e in silenzio, a guardare le radici che lente si ficcavano sempre più dentro la terra. Poiché la betulla si annoiava, si mise a contare le ramificazioni che aveva e con meraviglia si accorse che alcune delle proprie radici erano rimaste senza la protezione della terra, la pioggia aveva lavato le zolle e loro erano rimaste scoperte alle intemperie finché la botte del re non si era posata sopra esse e le aveva riparate.

Ma non ebbe molto tempo per riflettere su questo fatto che improvvisa la betulla, come al solito per niente strategica e fondamentalmente ingenua, gridò:
-Vostra Maestà, guardate guardate, sono arrivate le api! Venite a vedere che sono arrivate le api!!!
- Sei un'albero sciocco - le disse il re con la voce che risuonava nella botte- le api sono belle ma io resto chiuso qua dentro, che fuori c'è il vento e dentro c'è il riparo, la luce mi abbaglia e io ho bisogno di calma, che devo essere attento e pronto, che guarda le api, avevano il loro alveare e adesso sono senza. Io almeno ho la mia botte.
La betulla non ci fece caso ai borbottamenti del re, e si fece avvolgere dalle api operose che le svolazzavano intorno alla chioma, e portavano vita e solletico e gridò al re:
-Maestà maestà, guardate, mi fanno il solletico, un nugolo di api che fanno bzzzzz, si infilano tra i miei rami e succhiano la linfa e rimettono in circolo i sali che ho preso con le mie radici, dal fondo della terra, guardate maestà le api  le api!!!

Il re, dopo aver dato una sbirciatina disse:
- Vedi di trovargli un posto adatto: forse hai un buco là in alto nella corteccia, magari potresti offrigli un posto per restare. ma in ogni caso adesso basta, più non mi disturbare che io devo andare e fare.
Il re aveva fatto un piccolo buco nella botte, e ogni tanto guardava la betulla. Ma non apriva mai il coperchio. Aveva troppe cose da fare con le sue mani piccole e bianche.
Quando le api si posarono nell'incavo del tronco e fecero lì il loro alveare, la betulla si chinò ancora a guardare il re, che era intento a fare cose nella sua botte. Ed erano cose bellissime, che lui aveva le penne per scrivere e la carta bianca, e le mani bianche come la carta, e gli occhi scuri, e i piedi molto arcuati per camminare, e le gambe forti, mentre invece lei era sono un alberello con le radici così profonde che non sarebbe mai stata in grado di andare da nessuna parte, nemmeno sotto la più forte delle tempeste.



La betulla si annoiava: le uniche cose veramente interessanti le faceva il re, nascosto dentro la sua botte. Allora la betulla passava tutto il suo tempo a guardare dall'alto il re. Un giorno, stufa di tanta solitudine toccò la botte con i rami e disse:
- Vostra Maestà, è arrivato il sole, vogliate uscire...
- No no, niente sole, mi abbacina gli occhi.
- Ma Vostra Maestà, vi farò ombra io...
- No no, niente ombra, è troppo trasparente.
- Ma Maestà, vi farò posare sulla terra
- No no, niente terra, è troppo umida.
- Ma Maestà, vi poserò sulle mie radici...
- Ho detto di no!
Gridò infine il re, che tanto si era arrabbiato per l'insistenza della betulla che la botte ondeggiò per via del rimbombo che all'interno aveva creato l'eco del suo no. A quel punto il re posò le mani bianche e delicate sul bordo del barile, e con lentezza misurata si sollevò sulla punta dei piedi per guardare dritto dritto chi era quella betulla così noiosa e petulante.
- Ho detto di NO!
Ripeté furioso e la betulla che era china su di lui si rizzò di colpo: la spinta all'indietro fu tale che il terreno, ancora molle di acqua, si sollevò di qualche centimetro, facendo ruzzolare la botte a terra con dentro il suo re.
Lesta lesta la betulla tirò fuori una radice e con una presa potente fermò la botte. 

Il re a quel punto era assai arrabbiato.
- Che hai fatto mai! Come hai osato!
- Vi ho trattenuto, stavate per cadere...
- Mi hai fatto cadere, senza controllo mi hai fatto cadere!
- Non è vero Maestà, vi siete affacciato troppo e avete perso l'equilibrio.
- Chiamerò un esercito di avvocati e falegnami, ti farò tagliare i rami e potare le radici, che sei impudente e incontrollabile, e io voglio solo restare da solo nella mia botte, che ho cose da fare e guai da sistemare, che tutto prima era così sereno e preciso, magari non felice ma tranquillo, e tu adesso sei qui che chissà che cosa vuoi, il mio regno anche tu, i miei silenzi e le mie cose, la mia botte è preziosa una betulla alta come te non ci può stare, mi hai fermato con le tue radici, mi hai fatto rotolare e poi mi hai bloccato, adesso dentro è un disastro, ahi betulla avevi le tue api, avevi i tuoi rami rotti, io ero posato ai piedi del tuo tronco, che volevi di più?

- Vostra Maestà, lasciate che vi spieghi. Le tempeste dei giorni passati avevano lasciato scoperte delle radici e ciò mi procurava dolore sebbene non ne sapessi l'origine. Voi, posando la vostra botte sopra ti esse le avete coperte e mantenute al riparo. Così io ho cercato di portar loro la linfa affinché si rinforzassero. Mi avete capito?

Ma il re aveva chiuso il coperchio e taceva.
- Vostra Maestà, era una radice importante quella, una di quelle radici che permettono a una betulla di stare in piedi oppure no. Capite? Era scoperta.
La botte era ferma. La betulla vide che le fessure venivano silenziosamente chiuse.
- Vostra Maestà, non volevo farvi cadere, mi sono solo un poco spaventata nel vedere che non osate uscire dalla vostra botte; che avrete certamente ragione sa, ma io sono un albero e non posso immaginarmi una vita chiusa dentro una botte.
La botte era ferma e immobile.
- Orsù, Vostra Maestà, datemi retta, ascoltate le mie parole. Quando ho visto che stavate per rotolare giù è stato istintivo per me fermarvi con l'unica radice che era rimasta scoperta, ma ormai risanata. Per questo vi ho fermato.
Silenzio.
- Oh Vostra Maestà, avevate tante cose belle dentro la Vostra botte. Facevate tante cose. Avevo pensato che magari potevamo farle insieme. Magari potevo farvi salire su per il mio tronco e venivate a vedere come è bello il mondo da quassù. Magari avrei prima sistemato un po' le fronde, e reso più resistenti i tronchi, ma poi vi avrei fatto salire quassù.
Silenzio.
- Oh Maestà, perché mi ferite così? Perché non mi parlate?
Silenzio.
La betulla stette immobile e pensierosa. Dentro la botte provenivano suoni ovattati di azioni operose. Ma niente più.
- Vostra Maestà, c'è il sole! C'è la luna e ci sono le stelle! Venite a vedere qua fuori!!!
La betulla era alquanto sconcertata: aveva ai piedi del suo tronco una botte con dentro un re con un gran mantello. Il re pareva triste ma lei lo amava lo stesso. Si rese conto la betulla che non è nel ciclo naturale delle cose che una betulla ami un re, ma non ci poteva fare niente. 

- Sapete Vostra Maestà- disse non appena il pomeriggio si era inoltrato- io non ci posso fare niente se voi non volete parlarmi. Ve voi vi ostinate a pensare che io valgo Niente, se voi tra voi e voi dite che io sono Niente e che io non vi ho fatto Niente. Io sono una betulla, ho delle radici sottili ma profonde, una chioma malandata ma alta, ed è la mia natura essere una betulla. Voi siete un gran re, e i re hanno un cuore mentre le betulle no. Noi abbiamo la linfa che sale e che scende, voi avete un cuore che pulsa e si ferma e poi pulsa. Noi siamo tante, i re invece sono rari. Un re che vive in una botte poi, chi lo ha visto mai. In mezzo al deserto della tempesta però, mi sa che siamo tutti uguali, soli e uguali. Avete intenzione adesso di parlarmi?

Il re rimase muto. La botte ferma immobile.
- Benissimo, - disse la Betulla- Mi procurate un grande dolore con questo Vostro persistente silenzio, ma ritengo che ciascuno ne faccia quello che vuole del proprio cuore, voi che ce l'avete. E adesso che già l'ordine naturale delle cose è stato sovvertito e io vi amo, e poiché non posso fare nulla contro il mio amore che esiste, io adesso Vi dico, Vostra Maestà, che se volete saprete ritrovarmi, e se non volete, come in effetti non volete, lì restate, ma io basta, è il luogo che mi fa stare male, è l'ornidne naturale e ovvio delle cose che mi procura dolore, è il vostro silenzio maestà, la vostra sordità, il peso che con voi portate.

La betulla rimase un attimo perplessa a sentire il suono della propria voce, e si domandò se mai potevano avere un senso le parole che aveva appena detto. Si grattò la chioma, diede un'occhiata alla botte sigillata, si guardò intorno nel deserto fangoso e disse:
- Va bene, Maestà, voi sapete dove trovarmi, il vostro nome è inciso qui, guardate pure se volete. Io sono una betulla, la mia alta e malconcia chioma si distingue tra mille altre. L'ordine naturale delle cose è rovesciato, mi prendo le mie pene e me ne vado. Inseguitemi se volete: mi sa che anche le betulle hanno un cuore e io vi porto con me anche se voi non mi parlerete mai mai mai più.

Dette queste scombinate parole, la betulla si chinò sulla botte, la avvolse con i suoi rami, le diede un bacio, poi si alzò diritta, raccolse le sue radici, e goffamente impacciata si allontanò verso la cima della collina fangosa.
Non si era mai visto che una betulla si allontanasse così, ma per la verità, non si era mai visto nemmeno un re con un suo mantello, così chiuso nella sua botte.



Commenti

  1. Personale, ispirato, ci ritrovo anche il mal tempo di questi giorni. "E' cosi' sottile il bilico tra la costruzione e la distruzione" [Marco Parente, "Gente in costruzione].
    La musica e' il mio corredo emozionale, il re chiuso nella botte mi fa pensare a "Le lettere d'amore" di Vecchioni, a sua volta ispirata da "Todas as cartas de amor" di Álvaro de Campos , alter ego di Pessoa.
    http://www.youtube.com/watch?v=xnslQaGKj44

    Stilisticamente lo sento vicino a Paolo Nori, di cui amo molto (anche se non condivido del tutto) la prosa sciolta, spontanea, l'uso deliberato del "che" esteso al di la' del pronome relativo e dell'avverbio.

    Sei molto a tuo agio con il genere fiaba, ti suggerisco di praticarlo. Magari potresti partecipare a qualche slam fantareale (ma stai attenta che in quel caso sono max 5 minuti di lettura!).

    E anche in prospettiva di una eventuale pubblicazione potrebbe essere utile una maggior sintesi. Mi rendo conto che la lunghezza in questo caso e' funzionale alla storia (i reiterati tentativi della betulla di far uscire il re dalla botte), tuttavia penso che un editing esterno potrebbe giovare al racconto (Lish tagliava meta' degli scritti di Carver, per fortuna! :-).

    Su questo ultimo punto probabilmente Nori non sarebbe completamente d'accordo. Conisderalo come l'espressione di un mio sentire che si colloca al confine tra poetica e riflessione sul rapporto con il lettore.

    Un caro saluto.
    Paolo.

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