l'Asso nella manica 1/2
Allora chiudo l'ufficio, saluto e parto. Se Dio vuole è venerdì, la settimana lavorativa è finita e io torno a casa. Monto nel tram, con le cuffiette nelle orecchie e il cervello che va per conto suo: devo smetterla con sto pensiero fisso che come una calamita finisce sempre nel pozzo del Selvatico. Devo proprio finirla. Allora comincio a pensare al nuovo progetto che ho in mente, il famoso piano di comunicazione per il Maschio Alfa: ci penso e ci penso, che forse così mi stacco da quella calamita che mi rovina. Piove, piove e fa freddo, per fortuna nel tram c'è posto e così mi siedo e guardo tutta 'sta marmaglia di ragazzini che escono da scuola e ringrazio Dio che io a scuola non ci vado più, ma li guardo con attenzione, li studio che magari mi servono, li registro nella mente, non si sa mai...
Arrivo alla fermata mia, scendo con fatica che nel frattempo il tram si è riempito di gente, per fortuna io ho le cuffiette in testa e non sento niente, scendo e piove di traverso, parecchio, acqua a catinelle si direbbe, e gli schizzi arrivano anche dal basso. Arrivo finalmente a casa, dove trovo la Figlia ancora in pigiama perchè stamattina aveva il mal di gola e le ho permesso di restare a casa (- ma insomma, ancora in pigiama? - beh sì, ma tanto sono rimasta a casa tutta la mattina - vatti a vestire e lavare che non vieni a tavola così - ma uffa mamma, ma perché? - vatti a vestire - Ma mamma!!! - Vatti a vestire!!!), e il Figlio che rientra con me, anche lui stanco, bagnato perché ha dimenticato l'ombrello a casa (-ma come fai a dimenticare l'ombrello... - eh, non sapevo che piovesse - ma se sono giorni che piove a dirotto, Padova è alluvionata, ti ho anche chiesto se avevi preso l'ombrello stamattina... - ma io l'ho preso! - e infatti apre lo zaino e tira fuori l'ombrello pighevole. - vabeh, lasciamo perdere, avere 16 anni deve essere dura anche per te, vatti a cambiare che io preparo il pranzo).
Preparo il pranzo mentre la Figlia finalmente almeno sommariamente lavata ma pur sempre vestita, apparecchia e chiacchiera che certamente il mal di gola pare completamente passato mentre stamattina sembrava che ci fosse una fornace in quella gola (- no mamma - aveva detto con un filo di voce e le punte esterne degli occhi pericolosamente rivolte verso il basso che devo assoultamente capire come si fa che lo voglio fare anche io, ma credo sia una prerogativa dell'evoluzione della specie- eh no mamma, io "veramente" sto proprio male stamattina, non riesco nemmeno a parlare o mandare giù la saliva... - okkei okkei, stai a casa stamattina ma guai a te se mi chiami in ufficio più di 3 volte: 3 volte e non una di più - ah mamma vabene, ma tanto sto così male mamma... - e io che guardo quegli occhi un po' all'ingiù e penso che prima o poi mi ci metto pure io allo specchio e vedo se mi riesce di fare quello sguardo triste che a lei riesce così bene).
Bene: preparo una cosa veloce, gli spaghetti alla carbonara, che so che a loro piacciono e infatti ci mettiamo a tavola felici che sono ormai quasi le due, e mangiamo e chiacchieriamo, che il Figlio e la Figlia sono davvero divertenti ci sto bene con loro anche se mi tocca preparare il pranzo tutti i giorni e la cena tutte le sere, ma mi fanno ridere mentre la Figlia racconta che lei ha detto al professore cieco che la sua amica usava il cellulare e il Figlio ha fatto la pantomima prendendola in giro (professore professore guarda lì! ) e io a ridere di gusto alla scena, e la Figlia che resta una ttimo perplessa ma poi ride pure lei, e come al solito l'insegnamento (ma Figlia, non si fa la spia!) finisce in vacca o in Gloria come direbbe mia madre, ma almeno abbiamo mangiato e a me prende una stanchezza che mi butterei a letto. Invece sparecchiamo (- tocca a lui! - no, tocca a lei! - e da questo non ne vengo mai fuori se non arrabbiandomi e quindi ormai ho deciso, mi alzo e vado nel mio studio - arrangiatevi, voglio la tavola sparecchiata e non voglio urla, altrimenti prendo e parto e vado via e torno domani mattina- e finora la tattica ha funzionato.)
così mi siedo al mio computer e apro Skpye, Facebook, e la posta di gmail. Trovo on line la Donnachefaaccaderelecose, che come mi vede mi chiama e mi dice: "scusa posso dirti?" - "ma magari !" rispondo io chattando, che ho voglia proprio di sentire le novità da quella parte dell'Europa e lei comincia a raccontare ma arriva la Figlia che mi dice:
- mamma, oggi noi andiamo dal babbo. Facciano spagnolo insieme?
- oh, Figlia sì, vabene, ma non ora, lasciami un attimo al computer...
- ma mamma! I verbi! Ir, decir, volver, comer, daiii mamma, dopo vado dal babbo...
- ok, dammi sto quaderno
lei mi passa il quaderno mentre io continuo a chattare: la questione con la Donnachefaaccaderelecose si fa interessante, mi chiede un parere, mi sto facendo un'idea della situazione, dò un'occhiata al quaderno e la Figlia dichiara:
- devi farmi le domande, tipo: come si dice Tu mangi?
Valuto che non posso mantenere in piedi la chat e fare le domande e verificare se le risposte sono corrette. Nella finestrella della chat compare la scritta- "ma ti rendi conto???"
- allora Figlia, facciamo che mi coniughi i verbi.
- ma no! la mia professoressa fa le domande, e dice: come si dice... lui va?
"hai ragione io non ci andrei a quella cena. "
- se tu vuoi studiare con me fai come dico io. Coniugami il verbo mangiare.
lei resta un attimo ferma e poi incomincia, giò como, tuuu comi, el eiiia coma, vosotros
- no, nosotros, dai, daccapo "ma come si è permesso di invitarmi con tutti quanti?" "hai ragione, finchè non si sa nulla del contratto non ci devi andare, che ti esponi" GIò COMO, TU COMI, ELEIA COMA, NOSOTROS "e con i bambini come faccio?" " ma non hai la babysitter?" EIOS COMEEEAAAAN no, aspetta, COMAAAAN, ehm, no aspetta... "macchè, è malata" ellos coman Figlia. Avanti, coniugami il verbo ir "ma certo che sei nei guai" GIò VOY... - sì? - ehm, mamma, ma non me lo ricordo...yo voy, tu vais el...- ah sìsì, GIòòòVVOY, TUVAIS, ELEIA VA
Un delirio: me ne rendo conto. mentre fisso lo schermo la Figlia esclama:
- ah mamma, c'è la riunione dei professori oggi. Alle 3. devi firmare il libretto.
- cosa? cosa c'è? oggi?
- eh sì, guarda, devi firmare.
Mi apre il libretto tutta diligente, la comunicazione è di qualche giorno fa, me lo aveva detto in effetti, me l'ero dimenticata, fuori ancora piove e tira il vento che pare di essere in una favola di quelle piene di cattivi e di tempeste, mollo la chat "scusa ma devo andare", e mi alzo. Sono già le 3 meno 5 e ho una faccia spaventosa. Raccolgo il cappotto e il cappello mentre il cane tutto felice mi scodinzola intorno sicuro che lo porto alla battuta di caccia: -Figlioooo, il caneeeee...
- ma mamma, piove, non puoi portarlo giù tu?
Ci sono momenti della vita di una madre in cui le alternative sono uccidere o morire. Ma se si prende fiato e si fa finta di niente si riesce a sopravvivere. Il telefono squilla, mi sa che è mia madre, infilo la porta e saluto mentre chiudo. Aspettando l'ascensore sento la Figlia che dice:
- eh no, nonna, è appena uscita va a parlare con i "miei" professori.
bisognava proprio che io andassi a scuola, lei ci teneva troppo. Speriamo che portino giù quel cane. L'ascensore mi inghiotte e io resto sospesa nella scatola rossa per alcuni secondi: forse l'unico momento di quiete dalle 7 di stamattina. Poi si spalanca, mi sputa fuori e inizio a camminare, toccando la tasca destra più volte per sentire se ho l'iPhone, e la sinistra per sentire se c'è l'iPod e penso che si scarica sempre più in fretta il mio iPod, accidenti, 32 giga e una fatica immensa mi è costato, ormai ha 5 anni, 5 anni e mezzo e oddio come piove! Cammino veloce, l'ombrello è strattonato dal vento, io penso al mio ipod e cammino lesta tra le pozzanghere che mi sono sempre tatno piaciute e mi sa che adesso ci metto il piede dentro, così, come se mi fossi sbagliata e infatti lo schiaffo dentro, la scarpa affonda, l'acqua nera che sembra petrolio schizza felice e imbratta la gamba dentra e la parte bassa del pantalone, accidenti, la buca era più profonda di quello che immaginavo, mi sono bagnata un bel po', alzo lo sguardo e una signora mi guarda sorpresa, io sorrido come a fare finta di non essermi accorta della pozzanghera ma è chiaro che quella mi ha sgamato. Fanculo. Abbasso l'ombrello per non vederla e proseguo.
Arrivo al portone della scuola mi poso con tutto il mio corpo e lo spingo, che pare di dover aprire la cassaforte di una banca tanto è pesante sto portone, che mi ci devo proprio appoggiare con tutto il corpo e spingere, e chissà il Selvatico che sta facendo adesso, scema che non sei altro, spingi e taci.
i muri sono verde brillante, le luci al neon, io mi riprendo dall'esercizio fisico e dalla corsa, e a passo veloce mi incammino verso il secondo piano, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il foglietto con il nome dell'insegnante di matematica, l'unica con cui mi prema parlare oggi.
Il corridoio è largo e lungo e la mia insegnante riceve nell'aula in fondo. Davanti, in ordine sparso ma con vago sentore di fila ("sono arrivata prima io colcazzo che mi passi davanti") si voltano tutte e mi guardano, che arrivo con il cappotto nero lungo fuori moda (macchiesenefrega, è caldo, è di cashemire nero, dicono che il nero vada bene sempre, potrei togliere le spalline, infilo la mano dentro il capotto e accidenti è pure foderato, non si può, lo tolgo che fa caldo qui dentro), la gamba destra bagnata fino al ginocchio che pare sia stata ad aiutare tutta la notte gli alluvionati ( e invece no, ho fatto ssss-ciac nella pozzanghera), il berretto sfilato con stizza dalla testa senza pensare alla conseguenza nefanda dei capelli che seguono la lana tentando di scappare dalla mia testa. Accidenti i capelli. Frugo in borsa, prendo una bella pinza rossa, li raccolgo in una crocchia che fa tanto chic e mi incammino verso la fila ostile.
Oddio che vita. La prima della fila è Stefania, che mi sorride ma non si muove: la posizione va mantenuta a costo di sacrificare le amicizie, che qui siamo in una guerra di trincea, micacazzi. Io saluto un po' tutte in maniera generale tanto non ne conosco nessuna, poi passo davanti a tutte e vado a salutarla, lei prende fiato come se girasse una manovella e poi inizia con voce calma, poche pause ben dosate, un'arte consumata che impedisce a chiunque di interloquire se non con un amorevole sì del capo per cui inzia e dice senza virgole nè intonazione alcuna:
- come stai come va ah sono così stanca ho lavorato tutta la settimana ci vorrà un bel po' perchè questa è lunga mettiti con calma tu come stai sei arrivata tardi ti ci vorrà un'ora e mezza non ne posso più le bambine vanno bene tu tutto bene io devo ancora parlare con le altre vedrai che faccio presto ma questa qui quanto ci mette ti vedo un po' stanca io ho male dapperttutto chiamami quando hai tempo ih finalmente tocca a me vedrete che ci metto un attimo.
e sparisce, inghiottita dalla porta verdina che chiude con cautela alle sue spalle: resterà chiusa dentro circa 20 minuti. Per via che aveva detto che ci avrebbe messo poco. Almeno fosse stata zitta. Ma conosco Stefania, davvero è provata dalla vita, segue il flusso e il male minore e quando ha potuto mi ha sempre aiutato anche prima che io glielo chiedessi. Per me potrebbe starci tutto il pomeriggio dentro lì. Torno in fondo alla fila e mi appoggio al muro, penso che potrei mettermi la musica nelle orecchie, ma non è un comportamento socialmente utile. Shh, silenzio, chissà che starà facendo il cavaliere biondo che sono giorni che non si collega a Fb.
Commenti
Posta un commento