la strada 3/3
Mi rovescia e io mi lascio prendere.
Lo guardo negli occhi, ma poi li chiudo, che forti e troppe sono le mie emozioni, non so che fine mi farebbero fare, e rotoliamo sotto il tavolo, come se avessimo 15 anni e invece ho vissuto almeno 100 vite io, che le potrei contare e raccontare.
é straordinaria la visione che del mondo si può avere mentre si è sdraiati spalle a terra e il mondo inizia e finisce nei suoi occhi e dentro di te: è pericoloso l'angolo del tavolo che si protende alle sue spalle mentre la gamba rotonda e mossa, levigata da antiche mani (che solo mobili antichi in questa casa, si diceva, solo cose ricercate, pensate, volute, scelte, dove il suo occhio attento si è posato a studiarne i particolari e la mano a levigarne i contorni), la gamba del tavolo che si ostina a posarsi alla mia destra, bloccando in parte i movimenti dell'anca. Il tappeto si arrotola sotto la mia schiena e mi accarezza, che è morbido e si aggroviglia, lascia le spalle scoperte poco a poco e spazio al parquet, che caldo mi accarezza la schiena.
La musica è come se non ci fosse più, io sparisco inghiottita dal mio corpo, e mi fondo con l'universo tutto trascinando lui con me.
ma non basta.
davvero non basta. è come l'ho descritto io, ieri, e il giorno prima di ieri, e i giorni precendenti ancora, io cammino e mi allontano, sembro indecisa ma invece proseguo: mi si stringe il cuore ma non ce la fa, mi rendo conto che non riesce, non può offrire di più e io mi siedo e cerco di prendere fiato, recupero la mia presenza nel mondo, e mi sdraio posando il capo sul mio braccio teso a terra come fosse un cuscino, e respiro mentre mi vedo camminare e andare, nelle mie visioni notturne, non posso restare, non posso davvero, non contro la sua volontà. Ma nemmeno posso restare alle sue condizioni, costretta in quel vaso di terracotta dove mi ha messo, che è poroso e buio, con l'imboccatura stretta, mentre io sono acqua che corre e che nutre, e qui non posso restare così.
glielo ho detto, tante volte glielo ho detto, lasciami stare, e lui è sempre tornato. Io non so resistere alla sua ostinata testardaggine, che possiede una forza eroica nel continuare, perseverare, schivare i colpi, eludere le domande, trascinarmi su cammini diversi, costringermi a metterlo con le spalle al muro e rendermi conto che non si può, non va bene mai mettere qualcuno con le spalle al muro, costringerlo a restare fermo lì senza possibilità di fuga alcuna, e per questo lo lascio andare e dico di sì, vengo, sì, ti prego chiamami arrivo, perché stimo il suo sentire, quello sguardo veloce che ride, quel suo andare e venire e tornare sui suoi passi, quel volere capire di me e seguirmi nelle mie evoluzioni per lo più rovinose. Che non ci crede lui, non ci crede più che si possa essere ancora così, amanti fedeli nel corpo e nella mente, non ci crede più che ci si possa prendere cura dell'altro, delle sue cose, e farle mie, e fare di lui la vela mentre io sono il vento, non ci crede più, e non sarò io a fare questa battaglia, non più, non ce la faccio, non ce la faccio.
Si siede e riprende il controllo anche lui, che è velocissimo lui, e non lascia lo spazio a se stesso di sentire, e come sorvola sulle mie parole così sorvola sui sentimenti, che è come un animale selvatico e non li sa dosare, ed è uno spreco immenso di vita quello che vedo, uno spreco di energie e passione e dedizione, rinchiuse come me in un vaso di coccio, permeabile e tondo, facilmente si rovescia, ma l'imboccatura è stretta e si riesce subito a riportarlo in piedi e fare uscire poco contenuto.
Nemmeno io so quello che voglio forse, perché forse voglio troppo e tutto insieme, e questo non è dato di ottenerlo. Rifletto mentre mi vesto, e lui mi si avvicina, mi gironzola intorno, e ancora tocca e sfiora le cose, io mi poso mezza vestita sul bordo del tavolo e finisco di sorseggiare il mio vino, che non ho più parole, nemmeno pensieri, ma solo il vuoto, e tutto ciò che avevo da dire è svanito nel nulla, c'è solo quiete ora come in un caldo pomeriggio d'agosto, solo quiete e un'amaca che dondola lieve mentre concilia il sonno.
eppure rido di lui e con lui, mentre mi mostra l'ultimo acquisto che ha fatto, e ride di se stesso e abbassa il capo, e io penso che lo voglio e non lo voglio nello stesso tempo e forse per me è solo una questione di tempo.
Che sono troppe le cose di me che lui ignora, in parte nascoste, in parte non scoperte, in parte non volute: e forse mi sbaglio, e si potrebbe ancora salvare tutto, che veramente mai nulla è perso, si può sempre tutto recuperare, anche nelle situazioni più estreme la vita può arrivare e sollevare il velo che ci paralizza.
( - e dimmi, dimmi, come hai potuto pensare che io potessi continuare così? Dimmelo dimmelo? - e lui non sapeva che dire nell'aria calda del ristorante e io ho sentito la fitta identica la stessa nello stesso identico posto quando due anni fa chiesi a J - dimmi, è finita? sei davvero sicuro che è finita?- e dalla sua bocca uscirono le parole che io mi ero già detta per prepararmi, - sì, è finita- e la lama che si ficcava dentro, oggi come allora, nello stesso punto ma questa volta con una consapevolezza nuova: questa volta il rischio era noto e la risposta non data faceva in effetti forse meno male di quel - è finita- lapidario, netto con cui lui aveva reciso il legame. Ah uomini, che quando dite di no lo fate per sempre, e non capite che invece per noi il no è un posticipare, un provare a vedere se ci sono alternative, che le cose cambiano e noi con loro, eppure no, lui non aveva risposto alla mia domanda - come hai potuto pernsare che io potessi continuare così? ).
- portami a casa, che è tardi, per piacere.
e ogni volta è un rito un po' triste il rientro, mentre la nebbia ci avvolge e non c'è più tempo per andare a vedere dove i binari del treno finiscono.
(che mi aveva guidato di notte, un anno fa, nella notte fonda, quella dove il sonno è profondo per tutti, e le automobili in giro sono rare, ogni tanto una macchina della polizia, e lui aveva preso una strada interna - ti porto dove andavo a giocare da bambino- e luci gialle illuminano fascinose vecchie casette, in un posto non lontano da dove vivo io ma dove non sono mai stata. e nonostante i cartelli di divieto siamo entrati lo stesso nel cortile dove il cancello era spalancato, noi ben chiusi nell'automobile, e l'emozione mi saliva in gola, e sul piazzale deserto c'erano grosse catene arrotolate, e attrezzi per grnadi macchinari e infondo un treno, fermo, abbandonato, che è il ricovero dei treni questo, e un'aria statica mi metteva paura, un posto senza tempo dove la paura si faceva sentire strisciando lenta dai piedi verso le ginocchia, mentre io guardavo in giro e non capivo che ci facevamo lì, se era un posto magico o un burrone, ed era un posto magico ma io non lo sapevo, un luogo che mi è rimasto impresso nel cuore e nel cervello, che ogni cosa nuova e buona crea passaggi profondi nel mio cervello, e no so nulla invece di ciò che accade nel suo.
non so nulla di lui, so solo di me e faccio fatica.
per questo ora sono a casa, e scrivo delle mie visioni notturne, del tetto del mondo su cui sono posata e di una gamba del tavolo che è di cemento e si stacca, e rotola a terra, lontano da me, giù dal palazzo sul quale sono salita, e allora butto giù anche la seconda, che è pericolante e io rischio di cadere che in realtà non erano gambe tdi un tavolo ma elementi di una balaustra, non posso aggrapparmi a ciò che traballa, il cielo è plumbeo e io finalmente mi sveglio.
(non è una scrittura facile la mia, lo so, ma non ho critici letterari io, non ho agenti, non ho pubblico da accontentare e da rendermi grato, ho solo il tempo che mi è dato di rubare alla mia vita per scrivere e cercare di capire che mi succede, che mi succede che io lo voglio quell'uomo ma forse non così tanto, forse non più. Forse adesso basta.)
E forse davvero adesso basta.
( ma infondo al mio cervello c'è l'immagine di lui che non riesco a cancellare, non oggi, non stanotte che sono appena tornata da casa sua, domani forse, magari domani la cancellerò, oppure con il tempo, basta non pensarci, non dar peso a quell'immagine che affiora ogni tanto, e che ogni tanto guardo e mi consola, che la mia vita la vivo io, e con lui ne ho fatto un pezzo di strada e forse lui è il mio ponte, e quell'immagine per semrpe resterà mia anche se mi fa stringere un poco il cuore ma è mia e solo mia per sempre).
Sì, un ponte. vediamo dove mi porta la mia strada.
vediamo.
Intanto io scrivo e voi leggete.
Lo guardo negli occhi, ma poi li chiudo, che forti e troppe sono le mie emozioni, non so che fine mi farebbero fare, e rotoliamo sotto il tavolo, come se avessimo 15 anni e invece ho vissuto almeno 100 vite io, che le potrei contare e raccontare.
é straordinaria la visione che del mondo si può avere mentre si è sdraiati spalle a terra e il mondo inizia e finisce nei suoi occhi e dentro di te: è pericoloso l'angolo del tavolo che si protende alle sue spalle mentre la gamba rotonda e mossa, levigata da antiche mani (che solo mobili antichi in questa casa, si diceva, solo cose ricercate, pensate, volute, scelte, dove il suo occhio attento si è posato a studiarne i particolari e la mano a levigarne i contorni), la gamba del tavolo che si ostina a posarsi alla mia destra, bloccando in parte i movimenti dell'anca. Il tappeto si arrotola sotto la mia schiena e mi accarezza, che è morbido e si aggroviglia, lascia le spalle scoperte poco a poco e spazio al parquet, che caldo mi accarezza la schiena.
La musica è come se non ci fosse più, io sparisco inghiottita dal mio corpo, e mi fondo con l'universo tutto trascinando lui con me.
ma non basta.
davvero non basta. è come l'ho descritto io, ieri, e il giorno prima di ieri, e i giorni precendenti ancora, io cammino e mi allontano, sembro indecisa ma invece proseguo: mi si stringe il cuore ma non ce la fa, mi rendo conto che non riesce, non può offrire di più e io mi siedo e cerco di prendere fiato, recupero la mia presenza nel mondo, e mi sdraio posando il capo sul mio braccio teso a terra come fosse un cuscino, e respiro mentre mi vedo camminare e andare, nelle mie visioni notturne, non posso restare, non posso davvero, non contro la sua volontà. Ma nemmeno posso restare alle sue condizioni, costretta in quel vaso di terracotta dove mi ha messo, che è poroso e buio, con l'imboccatura stretta, mentre io sono acqua che corre e che nutre, e qui non posso restare così.
glielo ho detto, tante volte glielo ho detto, lasciami stare, e lui è sempre tornato. Io non so resistere alla sua ostinata testardaggine, che possiede una forza eroica nel continuare, perseverare, schivare i colpi, eludere le domande, trascinarmi su cammini diversi, costringermi a metterlo con le spalle al muro e rendermi conto che non si può, non va bene mai mettere qualcuno con le spalle al muro, costringerlo a restare fermo lì senza possibilità di fuga alcuna, e per questo lo lascio andare e dico di sì, vengo, sì, ti prego chiamami arrivo, perché stimo il suo sentire, quello sguardo veloce che ride, quel suo andare e venire e tornare sui suoi passi, quel volere capire di me e seguirmi nelle mie evoluzioni per lo più rovinose. Che non ci crede lui, non ci crede più che si possa essere ancora così, amanti fedeli nel corpo e nella mente, non ci crede più che ci si possa prendere cura dell'altro, delle sue cose, e farle mie, e fare di lui la vela mentre io sono il vento, non ci crede più, e non sarò io a fare questa battaglia, non più, non ce la faccio, non ce la faccio.
Si siede e riprende il controllo anche lui, che è velocissimo lui, e non lascia lo spazio a se stesso di sentire, e come sorvola sulle mie parole così sorvola sui sentimenti, che è come un animale selvatico e non li sa dosare, ed è uno spreco immenso di vita quello che vedo, uno spreco di energie e passione e dedizione, rinchiuse come me in un vaso di coccio, permeabile e tondo, facilmente si rovescia, ma l'imboccatura è stretta e si riesce subito a riportarlo in piedi e fare uscire poco contenuto.
Nemmeno io so quello che voglio forse, perché forse voglio troppo e tutto insieme, e questo non è dato di ottenerlo. Rifletto mentre mi vesto, e lui mi si avvicina, mi gironzola intorno, e ancora tocca e sfiora le cose, io mi poso mezza vestita sul bordo del tavolo e finisco di sorseggiare il mio vino, che non ho più parole, nemmeno pensieri, ma solo il vuoto, e tutto ciò che avevo da dire è svanito nel nulla, c'è solo quiete ora come in un caldo pomeriggio d'agosto, solo quiete e un'amaca che dondola lieve mentre concilia il sonno.
eppure rido di lui e con lui, mentre mi mostra l'ultimo acquisto che ha fatto, e ride di se stesso e abbassa il capo, e io penso che lo voglio e non lo voglio nello stesso tempo e forse per me è solo una questione di tempo.
Che sono troppe le cose di me che lui ignora, in parte nascoste, in parte non scoperte, in parte non volute: e forse mi sbaglio, e si potrebbe ancora salvare tutto, che veramente mai nulla è perso, si può sempre tutto recuperare, anche nelle situazioni più estreme la vita può arrivare e sollevare il velo che ci paralizza.
( - e dimmi, dimmi, come hai potuto pensare che io potessi continuare così? Dimmelo dimmelo? - e lui non sapeva che dire nell'aria calda del ristorante e io ho sentito la fitta identica la stessa nello stesso identico posto quando due anni fa chiesi a J - dimmi, è finita? sei davvero sicuro che è finita?- e dalla sua bocca uscirono le parole che io mi ero già detta per prepararmi, - sì, è finita- e la lama che si ficcava dentro, oggi come allora, nello stesso punto ma questa volta con una consapevolezza nuova: questa volta il rischio era noto e la risposta non data faceva in effetti forse meno male di quel - è finita- lapidario, netto con cui lui aveva reciso il legame. Ah uomini, che quando dite di no lo fate per sempre, e non capite che invece per noi il no è un posticipare, un provare a vedere se ci sono alternative, che le cose cambiano e noi con loro, eppure no, lui non aveva risposto alla mia domanda - come hai potuto pernsare che io potessi continuare così? ).
- portami a casa, che è tardi, per piacere.
e ogni volta è un rito un po' triste il rientro, mentre la nebbia ci avvolge e non c'è più tempo per andare a vedere dove i binari del treno finiscono.
(che mi aveva guidato di notte, un anno fa, nella notte fonda, quella dove il sonno è profondo per tutti, e le automobili in giro sono rare, ogni tanto una macchina della polizia, e lui aveva preso una strada interna - ti porto dove andavo a giocare da bambino- e luci gialle illuminano fascinose vecchie casette, in un posto non lontano da dove vivo io ma dove non sono mai stata. e nonostante i cartelli di divieto siamo entrati lo stesso nel cortile dove il cancello era spalancato, noi ben chiusi nell'automobile, e l'emozione mi saliva in gola, e sul piazzale deserto c'erano grosse catene arrotolate, e attrezzi per grnadi macchinari e infondo un treno, fermo, abbandonato, che è il ricovero dei treni questo, e un'aria statica mi metteva paura, un posto senza tempo dove la paura si faceva sentire strisciando lenta dai piedi verso le ginocchia, mentre io guardavo in giro e non capivo che ci facevamo lì, se era un posto magico o un burrone, ed era un posto magico ma io non lo sapevo, un luogo che mi è rimasto impresso nel cuore e nel cervello, che ogni cosa nuova e buona crea passaggi profondi nel mio cervello, e no so nulla invece di ciò che accade nel suo.
non so nulla di lui, so solo di me e faccio fatica.
per questo ora sono a casa, e scrivo delle mie visioni notturne, del tetto del mondo su cui sono posata e di una gamba del tavolo che è di cemento e si stacca, e rotola a terra, lontano da me, giù dal palazzo sul quale sono salita, e allora butto giù anche la seconda, che è pericolante e io rischio di cadere che in realtà non erano gambe tdi un tavolo ma elementi di una balaustra, non posso aggrapparmi a ciò che traballa, il cielo è plumbeo e io finalmente mi sveglio.
(non è una scrittura facile la mia, lo so, ma non ho critici letterari io, non ho agenti, non ho pubblico da accontentare e da rendermi grato, ho solo il tempo che mi è dato di rubare alla mia vita per scrivere e cercare di capire che mi succede, che mi succede che io lo voglio quell'uomo ma forse non così tanto, forse non più. Forse adesso basta.)
E forse davvero adesso basta.
( ma infondo al mio cervello c'è l'immagine di lui che non riesco a cancellare, non oggi, non stanotte che sono appena tornata da casa sua, domani forse, magari domani la cancellerò, oppure con il tempo, basta non pensarci, non dar peso a quell'immagine che affiora ogni tanto, e che ogni tanto guardo e mi consola, che la mia vita la vivo io, e con lui ne ho fatto un pezzo di strada e forse lui è il mio ponte, e quell'immagine per semrpe resterà mia anche se mi fa stringere un poco il cuore ma è mia e solo mia per sempre).
Sì, un ponte. vediamo dove mi porta la mia strada.
vediamo.
Intanto io scrivo e voi leggete.
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