A velocità di crociera.


Oh, mi attenda signora mia, con pazienza e sollecitudine come lei sa fare, seduta con le ginocchia unite, le mani curate posate sulle cosce lisce, i piedi chiusi nelle ballerine chiuse:
il suo salottino così piccolo e preciso, il divano tondo, il tavolino centrale, di ciliegio antico a tre gambe lievi e arriciolate che si dispiegano da una colonna tornita ove si susseguono rotonde palle, una sull'altra e tutte diverse.
Io sto bene sa, non ho nulla che mi succeda intorno, una calma affettiva ed emotiva che mi protegge.
I Figli, la Zarina, il Lavoro Benedetto, tutto tace, immerso nella luce limpida di luglio che schiarisce gli intonaci nuovi dei muri medievali.
Non c'è nessun fantasma di uomo intorno a me: tutto così lontano, signora mia, che non mi pare nemmeno che fosse mia la vita.
La cosa maggiore di questi giorni è un mio pigro abbandono, non spingo non tiro non sollecito nulla, lascio che le giornate si svolgano, e rido e penso e rifletto.
Durante la settimana vado al Lavoro Benedetto e faccio cose: non molte, non intense, non in fretta.  Seguo l'evolversi della situazione, anche se non vedo sviluppi importanti.
La domenica mi trascino pigra dal letto al computer, a un libro da leggere, stesa a terra con la testa spinta oltre il cuscino e il collo proteso, le braccia in alto a sostenere il libro che leggo, mentre poso i piedi sul copriletto e giocherello con le lenzuola sfatte, la musica di radio 101 in streaming, il frigo vuoto, la bottiglia con l'acqua, l'Ipad.
Scribacchio ma soprattutto non faccio niente: mi adagio nella noia senza meta e galleggio, senza pensieri.

Sto bene: come direbbe l'Eletta, vado avanti a velocità di crociera.


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