la strada -2-

e sono salita volentieri a casa sua, volentieri ho mollato il cappotto in entrata, volentieri l'ho seguito mentre cammina con il suo passo sicuro e mentre va tocca le cose che sono sue, ( il cassettone, un'occhiata veloce alle carte, raccoglie un giornale posato sulla sedia, sfiora il tavolo) e docile io l'ho seguito che la casa era calda, le luci basse, tutto silenzio.
Mi sento come a casa io, a casa mia quasi, ma non ve la posso descrivere, che la privacy va rispettata e parlo così di tutti e di nessuno.
(ma ve la descriverò un giorno questa casa, con gli spazi ampi, gli oggetti preziosi, le cose significative di una vita adulta e tutte quelle cose che un uomo single può permettersi di tenere in giro per casa per il piacere di vederle e toccarle mentre una donna no, specie una donna con due figli come me, che deve eliminare il più possibile, togliere ciò che fa polvere, che si può rompere, che ingombra, e bisogna fare spazio per lasciare lo spazio ad altre vite che arrivano chiassose e chiamano parlando a voce alta e mollano il giaccone sul tavolo che hanno fame e devono raccontare tante cose, e poi aprono lo zaino che devono mostrarti il libretto, e giocano con gli amici a risiko e bevono e mangiano e devono fare i compiti e crescere, un giorno ve la descriverò).

Ho acceso lo stereo, che avevo in mente la canzone di Modà, e lo stereo ha le casse nuove, che sono piccole e si sente benissimo, e infilo un cd nello stereo e sento rumore di pentole in cucina, piatti che sonori sbatacchiano, - che ti offro? - ho sete, dammi da bere del vino...

Una volta bevevo del vino e il vino arrivava direttamente al cervello, mi stordiva senza eliminare completamente la mia lucidità, mi consentiva di liberare dei freni che avevo, e con un gesto leggero toglievo le scarpe e felice facevo cose che altrimenti non avrei fatto, e anche il sesso "riusciva meglio" (e quanto è orribile la parola riuscire quando è vicina alla parola sesso, come se fosse un traguardo anche quello da conquistare, ah povera me, che dovevo bere un bicchiere di più perché non ero in grado di guardare nel fondo delle mie cose - ma erano 100 anni fa e adesso che di anni ne ho 1000 e più e pare tutto così lontano).

Mi piace il vino: il bicchiere è di cristallo, tutto intorno è pulito, le bollicine salgano veloci, lui ha aperto per me una bottiglia di dolce frizzante, io preferisco il secco, quello dal gusto asprigno che pizzica che lascia quel fondo amarognolo in bocca, ma non mi piace fare la difficile, ho sete e bevo, e forse vorrei dire cose a lui stanotte, e forse penso che il vino potrebbe aiutare, ma no, lo sento che non aiuta, che non c'è bisogno del vino, mentre mangio con lui e con le forchettine da dolce condivido la torta che ha fatto la sua mamma per lui, con le mandorle comprate al mercato e lo zucchero a renderlo caramelloso e morbido, con la cioccolata che si fonde in bocca e io che sento un brivido che mi sale lungo la schiena e un desiderio che mi prende ma cerco di controllarmi, che forse fa freddo, forse non vuole, forse dobbiamo parlare, non capisco mai niente con lui, io che sono una che decide con lui sono in completa balìa, e mi piace questa sensazione di non controllare nulla mentre mangio e sbriciolo la torta e racconto dell'ufficio, del Maschio Alfa che mi ha scoperto a mangiare una brioche ("" racconta racconta.- ero seduta alla scrivania con una montagna di cose da fare, sono giorni in cui non si respira là dentro, che non si riesce nemmeno ad andare a prendere un caffè. Così avevo chiesto a Gambelunghe se per piacere andava a prendermi un caffè e una brioche e lei era andata danzando, che così pure lei si distrae e fa due passi fuori, e mi aveva portato il mio caffè americano che io mi ero bevuta mentre controllavo le fatture e avevo anche addentato la brioche che era burrosa e sfogliata, scrocchiante al contatto con la mia bocca, mentre il cervello scavava nei numeri delle fatture per farle combaciare con le note di credito e la valuta degli assegni, sempre quello, una montagna enorme di fatture e note di credito e quando ne hai risolta una non fai a tempo a sorridere che altri 3 ti aspettano dietro l'angolo, ma insomma, le labbra fanno quello che possono nel masticare con beneducazione la brioche, tanto ci metto un attimo a controllare 'sto numero che forse ho capito dov'è l'errore, e con la lingua raccolgo le briciole ai lati della bocca, faccio un mucchietto del sacchetto di carta, lo getto nel cestino e mi metto a scrivere la mail perché ho capito quali note di credito andavano con quali fatture, e con un gesto veloce dò una passata alla scrivania per pulirla dalle briciole. Poi arriva il Maschio Alfa, con il suo passo veloce che sembra debba andare oltre la mia stanza invece entra e si ferma e si siede e mi guarda e gli scappa quasi da ridere, e io non guardo, che tanto non guardo, gli dico cosa c'è da fare, lui dice ok, poi non resiste e mi dice: - eh, hai faccia sporca di cioccolata... e ride lui, mentre rido pure io, e mi pulisco la bocca con la mano come farebbe mio figlio, e gli dico - accidenti, non ti si può nascondere niente... - ma in realtà mi vergogno, mi sa che sono diventata rossa, e mi viene ancora da ridere al pensiero di mezza faccia sporca di cioccolata"" e lui seduto davanti a me, mentre finisce di mangiare la torta mi ascolta e ridacchia pure lui mentre io gesticolo e dico, riempio di dettagli che non posso pensare al fatto che siamo da soli a casa, che oggi eravamo a pranzo insieme, non posso pensare, vorrei bere e stordirmi invece di essere così disperatamente lucida, che sono ancora molte le cose che vorrei dirgli ma invece non mi riesce, e insieme ancora ridiamo finché taccio, e con la forchettina raccolgo le briciole sparse sul piattino.

Lui mi guarda.
Io respiro.
e lui infila la mano nella mia scollatura e la tiene ferma lì, un attimo che poi fa per estrala, ma io la blocco, con una presa di acciaio io blocco la sua mano. E sorrido.
Finalmente, basta parole, non ne posso più di parole, pensieri che vanno e che vengono, cose da decidere, pianificazioni, conti da pagare, figli, cani, bollette, vestiti in disordine, una vita fatta di corsa, non ne posso più di capire come mi devo muovere per farmi meno male possibile: adesso ho la sua mano tra i miei seni e lì la tengo con la mia presa d'acciaio.

Infondo io scrivo per lui le mie poesie: ho il cuore appensantito e la sua mano sul mio seno mi solleva e mi stordisce e il vino non mi serve, veramente non mi serve più.

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