Quegli equilibri instabili.
All’improvviso ho deciso di entrare nel parco giochi, cosa ricorrente nella mia vita notturna. Il parco in parte già lo conoscevo pertanto ho portato la parte giovane di me che poteva essere mia figlia ma non lo era, a fare la fila davanti a un macchinario che pareva una giostra di quelle poco divertenti. La fila si è svolta molto velocemente davanti a noi e così siamo salite in un bidoncino blu, del tipo le bidonvie aperte di montagna. Il bidone ci ha trasportato in alto, scorrendo con delle ruote ben oliate che erano posate alla nostra destra e rotolavano su un grosso cavo sospeso nel vuoto. Poi, come in tutte le giostre, hanno cominciato a salire in alto, un po’ troppo in alto per i miei gusti, cosicché avevo paura, quella tipica paura controllata di essere salita su una giostra troppo pericolosa ma pur sapendo che è una giostra. Sotto di noi un panorama lontanissimo di campi coltivati, case piccoline e pini di montagna, verde cupo quasi blu, di cui potevamo sfiorare le punte. Il cielo era azzurro e io mi cominciai a preoccupare perché avevo necessità di procurarmi di che sopravvivere. Poi la giostra ha preso delle curve ripide, è scivolata verso sinistra e ci ha portato davanti a uno scivolo di legno, un percorso avvolgente in cui stavamo sdraiate e scivolavamo giù e su, trasportandoci in altri luoghi, lontani dall’inizio della giostra.
Lì siamo scese,
mi sono sistemata il vestitino di cotone a fiori stile anni ’50 e ho ammirato
come mi si fosse finalmente ristretta la vita e fossi ritornata come ero, con
il vitino stretto come prima di affrontare la vita. Ho preso la bambina per mano, e con sicurezza ho camminato
per la strada, sull’acciottolato del paese dai muri spessi e gialli. Alla mia
sinistra e alla mia destra i porticati ombreggiavano il passeggio delle signore
che trascorrevano il pomeriggio così, non avendo altro da fare. Io sono entrata
nella casa dell’uomo, che era veramente un bel ragazzo, le spalle muscolose,
l’aria sorridente e truffaldina e davanti a lui ho aperto le borse che avevo
con me, recuperate mentre ero al parco giochi: con stupore la bambina guardò
dentro e vide che erano piene di soldi, ma tanti soldi, banconote che
riempivano le pochette molli che forse, così pensò la bambina che era con me,
che forse la mamma li aveva rubati a qualcuna al parco giochi (anche se era
molto strano, perché non avevamo visto nessuno lì, ma io sapevo che la parte
adulta di me sarebbe stata anche in grado di rubare con destrezza e questa era
una gran cosa, mi dava sicurezza).
L’uomo ha
guardato ammirato tutte le banconote, e io e lui le abbiamo nascoste insieme in
alcuni luoghi della casa (dentro dei mattoni, sotto dei mobili) mettendoli al
riparo da possibili furti.
Poi sono uscita,
tenendo la bambina per mano, e abbiamo ripreso a camminare, e quando siamo
state abbastanza lontane dalla casa, siccome sentivo che lei era preoccupata
perché avevamo lasciato tutti quei soldi lì in quella casa e noi andavamo a
piedi, mi sono fermata, mi sono accucciata davanti a lei e in completo silenzio
le ho mostrato la borsetta di raso con la chiusura a due bottoni color rubino.
Ho fatto fare un piccolo click dividendo l’abbraccio dei bottoni e ho mostrato
il contenuto: tantissime banconote.
- - -Queste
sono per noi – ho detto.
Poi mi sono
alzata, l’ho ripresa per mano e abbiamo proseguito il cammino.
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